Pagina:Vannicola - De profundis clamavi ad te, 1905.djvu/89

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E le voci sono come echi di luce, come vibrazioni di lontane armonie planetarie, come fili eterei d’un tessuto diafano, vive da prima, poi calde, poi rosee, poi pallide, poi bianche.

Nel sopore estatico e silenzioso gli accordi dell’arpa cantano gli splendori, gli odori, le musiche infinite della Notte solenne, e dall’alto avvertimento grave del Destino vegliante invisibile: «Solitaria, io veglio nella notte. Voi, cui sorride il sogno, state in guardia, in guardia!

Ma gli illusi: «Intendi tu? – Lasciami morire! – Non ci risvegliamo mai!» Che importa la Morte? Essa farebbe anzi cadere l’ostacolo impenetrabile dei corpi; essa sarebbe anzi il segnale di nozze ancora più ardenti; essa toglierebbe anzi fra i due nomi la barriera d’una sillaba, cosicchè Tristano e Isotta non sarebbero più che Tristano-Isotta, Isotta-Tristano.

E, nella Notte sacra, l’inno all’Amore si leva, si esalta fino all’altezza vertiginosa, fino al di là, fino alla Morte.