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Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/61

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Antonio da Lucca e quello di ser Raffaello, che sono molto buoni. Essendo poi l’anno 1523 la peste in Roma, se ne venne Perino del Vaga a Fiorenza, e cominciò a tornarsi anch’egli con ser Raffaello del Zoppo, per che, avendo fatta seco Giovan Antonio stretta amicizia, avendo conosciuta la virtù di Perino, se gli ridestò nell’animo il pensiero di volere, lasciando tutti gl’altri piaceri, attendere alla pittura, e cessata la peste andare con Perino a Roma. Ma non gli venne fatto perché, venuta la peste in Fiorenza, quando appunto avea finito Perino la storia di chiaro scuro della sommersione di faraone nel Mar Rosso, di color di bronzo, per ser Raffaello, al quale fu sempre presente il Lappoli, furono forzati l’uno e l’altro per non vi lasciare la vita, partirsi di Firenze. Onde tornato Giovan Antonio in Arezzo si mise, per passar tempo, a fare in una storia in tela la morte d’Orfeo, stato ucciso dalle Baccanti; si mise, dico, a fare questa storia in color di bronzo di chiaro scuro nella maniera che avea veduto fare a Perino la sopra detta; la quale opera finita gli fu lodata assai. Dopo si mise a finire una tavola, che Domenico Pecori già suo maestro aveva cominciata per le monache di Santa Margherita; nella quale tavola, che è oggi dentro al monasterio, fece una Nunziata. E due cartoni fece per due ritratti di naturale dal mezzo in su, bellissimi: uno fu Lorenzo d’Antonio di Giorgio, allora scolare e giovane bellissimo, e l’altro fu ser Piero Guazzesi, che fu persona di buon tempo. Cessata finalmente alquanto la peste, Cipriano d’Anghiani, uomo ricco in Arezzo, avendo fatta murare di que’ giorni nella Badia di Santa Fiore in Arezzo una cappella con ornamenti e colonne di pietra serena, allogò la tavola a Giovan Antonio per prezzo di scudi cento. Passando in tanto per Arezzo il Rosso, che se n’andava a Roma et alloggiando con Giovan Antonio suo amicissimo, intesa l’opera che aveva tolta a fare, gli fece, come volle il Lappoli, uno schizzetto tutto d’ignudi molto bello; per che messo Giovan Antonio mano all’opera, imitando il disegno del Rosso, fece nella detta tavola la visitazione di S. Lisabetta, e nel mezzo tondo di sopra un Dio Padre con certi putti, ritraendo i panni e tutto il resto di naturale. E condottola a fine ne fu molto lodato e comendato e massimamente per alcune teste ritratte di naturale, fatte con buona maniera e molto utile. Conoscendo poi Giovan Antonio, che a voler fare maggior frutto nell’arte, bisognava partirsi d’Arezzo, passata del tutto la peste a Roma, deliberò andarsene là dove già sapeva ch’era tornato Perino, il Rosso e molti altri amici suoi, e vi facevano molte opere e grandi. Nel qual pensiero se gli porse occasioni d’andarvi comodamente. Per che, venuto in Arezzo Messer Paolo Valdarabrini, segretario di papa Clemente Settimo, che tornando di Francia in poste passò per Arezzo per vedere i fratelli e nipoti, l’andò Giovan Antonio a visitare; onde Messer Paolo, che era disideroso che in quella sua città fussero uomini rari in tutte le virtù, i quali mostrassero gl’ingegni che dà quell’aria e quel cielo a chi vi nasce, confortò Giovan Antonio, ancor che molto non bisognasse, a dovere andar seco a Roma, dove gli farebbe avere ogni commodità di potere attendere agli studi dell’arte. Andato dunque con esso Messer Paolo a Roma, vi trovò Perino, il Rosso et altri amici suoi, et oltre ciò gli venne fatto, per mezzo di Messer Paolo, di conoscere Giulio Romano, Bastiano Viniziano e Francesco Mazzuoli da Parma, che in que’ giorni