Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/62

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capitò a Roma; il quale Francesco, dilettandosi di sonare il liuto, e perciò ponendo grandissimo amor a Giovanni Antonio, fu cagione col praticare sempre insieme, che egli si mise con molto studio a disegnare e colorire et a valersi dell’occasione che aveva d’essere amico ai migliori dipintori che allora fussero in Roma. E già avendo quasi condotto a fine un quadro, dentrovi una Nostra Donna grande quanto è il vivo, il quale voleva Messer Paolo donare a papa Clemente per fargli conoscere il Lappoli, venne, sì come volle la fortuna che spesso s’attraversa a’ disegni degli uomini, a sei di maggio l’anno 1527, il Sacco infelicissimo di Roma. Nel quale caso, correndo Messer Paulo a cavallo e seco Giovan Antonio alla porta di Santo Spirito in Trastevere, per far opera che non così tosto entrassero per quel luogo i soldati di Borbone, e vi fu esso Messer Paolo morto et il Lappoli fatto prigione dagli Spagnuoli. E poco dopo, messo a sacco ogni cosa, si perdè il quadro, i disegni fatti nella cappella e ciò che aveva il povero Giovan Antonio, il quale dopo molto essere stato tormentato dagli Spagnuoli, perché pagasse la taglia, una notte in camicia si fuggì con altri prigioni. E mal condotto e disperato, con gran pericolo della vita, per non esser le strade sicure, si condusse finalmente in Arezzo dove, ricevuto da Messer Giovanni Polastra, uomo litteratissimo, che era suo zio, ebbe che fare a riaversi, sì era mal condotto per lo stento e per la paura. Dopo, venendo il medesimo anno in Arezzo sì gran peste che morivano quattrocento persone il giorno, fu forzato di nuovo Giovan Antonio a fuggirsi tutto disperato e di mala voglia e star fuora alcuni mesi; ma cessata finalmente quella influenza, in modo che si poté cominciare a conversare insieme, un fra’ Guasparri conventuale di San Francesco, allora guardiano del convento di quella città, allogò a Giovan Antonio la tavola dell’altar maggiore di quella chiesa per cento scudi, acciò vi facesse dentro l’adorazione de’ Magi; per che il Lappoli, sentendo che ’l Rosso era al Borgo San Sepolcro e vi lavorava (essendosi anch’egli fuggito di Roma) la tavola della Compagnia di Santa Croce, andò a visitarlo, e dopo avergli fatto molte cortesie e fattogli portare alcune cose d’Arezzo, delle quali sapeva che aveva necessità, avendo perduto ogni cosa nel Sacco di Roma, si fece far un bellissimo disegno della tavola detta che aveva da fare per fra’ Guasparri. Alla quale messo mano, tornato che fu in Arezzo, la condusse secondo i patti in fra un anno dal dì della locazione et in modo bene che ne fu sommamente lodato. Il quale disegno del Rosso l’ebbe poi Giorgio Vasari e da lui il molto reverendo don Vincenzio Borghini, spedalingo degli Innocenti di Firenze, e che l’ha in un suo libro di disegni di diversi pittori. Non molto dopo, essendo entrato Giovan Antonio mallevador al Rosso per trecento scudi, per conto di pitture che dovea il detto Rosso fare nella Madonna delle Lacrime, fu Giovan Antonio molto travagliato perché, essendosi partito il Rosso senza finir l’opera, come si è detto nella sua vita, et astretto Giovanni Antonio a restituire i danari, se gl’amici e particolarmente Giorgio Vasari, che stimò trecento scudi quello che avea lasciato finito il Rosso, non l’avessero aiutato, sarebbe Giovan Antonio poco meno che rovinato per fare onore et utile alla patria. Passati que’ travagli, fece il Lappoli per l’abbate Camaiani di Bibbiena, a Santa Maria del Sasso, luogo de’ frati predicatori in Casentino, in una