Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/63

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cappella nella chiesa di sotto, una tavola a olio dentrovi la Nostra Donna, San Bartolomeo e S. Matia; e si portò molto bene contrafacendo la maniera del Rosso. E ciò fu cagione che una Fraternita in Bibbiena gli fece poi fare, in un gonfalone da portare a processione, un Cristo nudo con la croce in ispalla, che versa sangue nel calice, e dall’altra banda una Nunziata, che fu delle buone cose che facesse mai. L’anno 1534, aspettandosi il duca Alessandro de’ Medici in Arezzo, ordinarono gl’Aretini e Luigi Guicciardini commessario in quella città, per onorare il Duca, due comedie. D’una erano festaiuoli e n’avevano cura una compagnia de’ più nobili giovani della città che si facevano chiamare gl’Umidi, e l’apparato e scena di questa, che fu una comedia degli Intronati da Siena, fece Niccolò Soggi, che ne fu molto lodato, e la comedia fu recitata benissimo e con infinita sodisfazione di chiunque la vidde. Dell’altra erano festaiuoli a concorrenza un’altra compagnia di giovani similmente nobili, che si chiamava la Compagnia degl’Infiammati. Questi dunque, per non esser meno lodati che si fussino stati gl’Umidi, recitando una comedia di Messer Giovanni Polastra, poeta aretino, guidata da lui medesimo, fecero far la prospettiva a Giovan Antonio, che si portò sommamente bene. E così la comedia fu con molto onore di quella compagnia e di tutta la città recitata. Né tacerò un bel capriccio di questo poeta, che fu veramente uomo di bellissimo ingegno. Mentre che si durò a fare l’apparato di queste et altre feste, più volte si era fra i giovani dell’una e l’altra Compagnia, per diverse cagioni e per la concorrenza, venuto alle mani e fattosi alcuna quistione, per che il Polastra, avendo menato la cosa secretamente affatto, ragunati che furono i popoli e i gentiluomini e le gentildonne dove si aveva la comedia a recitare, quattro di que’ giovani, che altre volte si erano per la città affrontati, usciti con le spade nude e le cappe imbracciate, cominciarono in sulla scena a gridare e fingere d’ammazzarsi, et il primo che si vidde di loro uscì con una tempia fintamente insanguinata gridando: "Venite fuora, traditori". Al quale rumore, levatosi tutto il popolo in piedi e cominciandosi a cacciar la mano all’armi, i parenti de’ giovani, che mostravano di tirarsi coltellate terribili, correvano alla volta della scena, quando il primo che era uscito, voltosi agl’altri giovani, disse: "Fermate, signori; rimettete dentro le spade, che non ho male et ancora che siamo in discordia e crediate che la comedia non si faccia, ella si farà, e così ferito come sono, vo cominciare il prologo". E così, dopo questa burla, alla quale rimasono colti tutti i spettatori e gli strioni medesimi, eccetto i quattro sopra detti, fu cominciata la comedia e tanto bene recitata, che l’anno poi 1540 quando il signor duca Cosimo e la signora duchessa Leonora furono in Arezzo, bisognò che Giovann’Antonio, di nuovo facendo la prospettiva in sulla piazza del vescovado, la facesse recitare a loro eccellenze, e sì come altra volta erano i recitatori di quella piaciuti, così tanto piacquero allora al signor Duca, che furono poi, il carnovale vegnente, chiamati a Fiorenza a recitare. In queste due prospettive adunque si portò il Lappoli molto bene e ne fu sommamente lodato. Dopo fece un ornamento a uso d’arco trionfale, con istorie di color di bronzo, che fu messo intorno all’altare della Madonna delle Chiave. Essendosi poi fermo Giovan Antonio in Arezzo, con proposito, avendo