Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/622

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poco, perciò che venuto il campo a Fiorenza l’anno 1529, me n’andai con Manno orefice e mio amicissimo a Pisa, dove, lasciato da parte l’esercizio dell’orefice, dipinsi a fresco l’arco che è sopra la porta della Compagnia vecchia de’ Fiorentini, et alcuni quadri a olio, che mi furono fatti fare per mezzo di don Miniato Pitti, abbate allora d’Agnano fuor di Pisa, e di Luigi Guicciardini, che in quel tempo era in Pisa. Crescendo poi più ogni giorno la guerra, mi risolvei tornarmene in Arezzo, ma non potendo per la diritta via et ordinaria, mi condussi per le montagne di Modena a Bologna; dove, trovando che si facevano per la coronazione di Carlo Quinto alcuni archi trionfali di pittura, ebbi così giovinetto da lavorare con mio utile et onore. E perché io disegnava assai acconciamente, arei trovato da starvi e da lavorare, ma il disiderio che io aveva di riveder la mia famiglia e’ parenti, fu cagione che, trovata buona compagnia, me ne tornai in Arezzo, dove, trovato in buono essere le cose mie, per la diligente custodia avutane dal detto don Antonio mio zio, quietai l’animo et attesi al disegno, facendo anco alcune cosette a olio di non molta importanza. Intanto, essendo il detto don Miniato Pitti fatto non so se abbate o priore di Santa Anna, monasterio di Monte Oliveto in quel di Siena, mandò per me; e così feci a lui et all’Albenga loro generale alcuni quadri et altre pitture. Poi, essendo il medesimo fatto abbate di San Bernardo d’Arezzo, gli feci nel poggiuolo dell’organo, in due quadri a olio, Iobbe e Moisè. Per che, piaciuta a que’ monaci l’opera, mi feciono fare innanzi alla porta principale della chiesa nella volta e facciate d’un portico alcune pitture a fresco, cioè i quattro Evangelisti con Dio Padre nella volta et alcun’altre figure grandi quanto il vivo, nelle quali se bene, come giovane poco sperto, non feci tutto che arebbe fatto un più pratico, feci nondimeno quello che io seppi e cosa che non dispiacque a que’ padri, avuto rispetto alla mia poca età e sperienza. Ma non sì tosto ebbi compiuta quell’opera, che, passando il cardinale Ipolito de’ Medici per Arezzo in poste, mi condusse a Roma a’ suoi servigii, come s’è detto nella vita del Salviati, là dove ebbi commodità, per cortesia di quel signore, di attendere molti mesi allo studio del disegno. E potrei dire con verità questa comodità e lo studio di questo tempo essere stato il mio vero e principal maestro in questa arte, se bene per innanzi mi aveano non poco giovato i sopra nominati, e non mi s’era mai partito del cuore un ardente desiderio d’imparare et uno indefesso studio di sempre disegnare giorno e notte. Mi furono anco di grande aiuto in que’ tempi le concorrenze de’ giovani miei eguali e compagni, che poi sono stati per lo più eccellentissimi nella nostra arte. Non mi fu anco se non assai pungente stimolo il disiderio della gloria et il vedere molti esser riusciti rarissimi e venuti a gradi et onori. Onde diceva fra me stesso alcuna volta: "Perché non è in mio potere con assidua fatica e studio procacciarmi delle grandezze e gradi che s’hanno acquistato tanti altri? Furono pure anch’essi di carne e d’ossa, come son io". Cacciato dunque da tanti e sì fieri stimoli e dal bisogno che io vedeva avere di me la mia famiglia, mi disposi a non volere perdonare a niuna fatica, disagio, vigilia e stento per conseguire questo fine. E così propostomi nell’animo, non rimase cosa notabile allora in Roma, né poi in Fiorenza et altri luoghi ove dimo-