Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/66

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altre cosette che si fanno giornalmente, sentendo che a Roma si facevano gran cose, si partì di Firenze, pensando acquistare nell’arte e dovere anco avanzare qualche cosa, e se n’andò a Roma dove, avendo visitato il detto Messer Antonio di Monte, che allora era cardinale, fu non solamente veduto volentieri, ma subito messo in opera a fare, in quel principio del pontificato di Leone, nella facciata del palazzo, dove è la statua di maestro Pasquino, una grand’arme in fresco di papa Leone in mezzo a quella del popolo romano e quella del detto cardinale. Nella quale opera Niccolò si portò non molto bene, perché nelle figure d’alcuni ignudi che vi sono et in alcune vestite, fatte per ornamento di quell’armi, cognobbe Niccolò che lo studio de’ modegli è cattivo a chi vuol pigliare buona maniera. Scoperta dunque che fu quell’opera, la quale non riuscì di quella bontà che molti s’aspettavano, si mise Niccolò a lavorare un quadro a olio, nel quale fece S. Prassedia martire che preme una spugna piena di sangue in un vaso; e la condusse con tanta diligenza, che ricuperò in parte l’onore che gli pareva avere perduto nel fare la sopra detta arme. Questo quadro, il quale fu fatto per lo detto cardinale di Monte, titolare di S. Prassedia, fu posto nel mezzo di quella chiesa, sopra un altare, sotto il quale è un pozzo di sangue di Santi martiri, e con bella considerazione, alludendo la pittura al luogo dove era il sangue de’ detti martiri. Fece Niccolò dopo questo, in un altro quadro alto tre quarti di braccio, al detto cardinale suo padrone, una Nostra Donna a olio col Figliuolo in collo, San Giovanni piccolo fanciullo et alcuni paesi, tanto bene e con tanta diligenza, che ogni cosa pare miniato e non dipinto. Il quale quadro, che fu delle migliori cose che mai facesse Niccolò, stette molti anni in camera di quel prelato. Capitando poi quel cardinale in Arezzo et alloggiando nella Badia di Santa Fiore, luogo de’ monaci neri di San Benedetto, per le molte cortesie che gli furono fatte, donò il detto quadro alla sagrestia di quel luogo, nella quale si è infino a ora conservato e come buona pittura e per memoria di quel cardinale; col quale venendo Niccolò anch’egli ad Arezzo e dimorandovi poi quasi sempre, allora fece amicizia con Domenico Pecori pittore, il quale allora faceva in una tavola della Compagnia della Trinità la Circoncisione di Cristo, e fu sì fatta la dimestichezza loro, che Niccolò fece in questa tavola a Domenico un casamento in prospettiva di colonne con archi e girando sostengono un palco fatto, secondo l’uso di que’ tempi, pieno di rosoni, che fu tenuto allora molto bello. Fece il medesimo al detto Domenico a olio, in sul drappo, un tondo d’una Nostra Donna con un popolo sotto, per il baldacchino della Fraternita d’Arezzo, il quale, come si è detto nella vita di Domenico Pecori, si abruciò per una festa che si fece in San Francesco. Essendogli poi allogata una cappella nel detto San Francesco, cioè la seconda entrando in chiesa a man ritta, vi fece dentro a tempera la Nostra Donna, San Giovanni Batista, San Bernardo, Sant’Antonio, San Francesco e tre Angeli in aria che cantano, con un Dio Padre in un frontespizio, che quasi tutti furono condotti da Niccolò a tempera, con la punta del pennello. Ma perché si è quasi tutta scrostata per la fortezza della tempera, ella fu una fatica gettata via, ma ciò fece Niccolò per tentare nuovi modi. Ma conosciuto che il vero modo era il lavorare in fresco, s’attaccò alla