Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/68

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due figure mettono in mezzo l’imagine di quella Nostra Donna che in quel luogo fece miracoli. Fece di poi Niccolò, in un quadro alto tre braccia, il detto Messer Baldo Magini di naturale e ritto, con la chiesa di San Fabiano di Prato in mano, la quale egli donò al capitolo della calonaca della pieve. E ciò fece per lo capitolo detto il quale, per memoria del ricevuto beneficio, fece porre questa quadro in sagrestia, sì come veramente meritò quell’uomo singolare che con ottimo giudizio beneficiò quella principale chiesa della sua patria tanto nominata per la cintura che vi serba di Nostra Donna. E questo ritratto fu delle migliori opere che mai facesse Niccolò di pittura. È openione ancora d’alcuni che di mano del medesimo sia una tavoletta che è nella Compagnia di San Pier martir[e] in sulla piazza di San Domenico di Prato, dove sono molti ritratti di naturale, ma secondo me, quando sia vero che così sia, ella fu da lui fatta inanzi a tutte l’altre sue sopra dette pitture. Dopo questi lavori, partendosi di Prato Niccolò sotto la disciplina del quale avea imparato i principii dell’arte della pittura Domenico Giuntalochi, giovane di quella terra di bonissimo ingegno, il quale per aver appreso quella maniera di Niccolò non fu di molto valore nella pittura, come si dirà, se ne venne per lavorare a Fiorenza. Ma veduto che le cose dell’arte di maggiore importanza si davano a’ migliori e più eccellenti e che la sua maniera non era secondo il far d’Andrea del Sarto, del Puntormo, del Rosso e degli altri, prese partito di ritornarsene in Arezzo, nella quale città aveva più amici, maggior credito e meno concorrenza. E così avendo fatto, subito che fu arrivato, conferì un suo desiderio a Messer Giuliano Bacci, uno de’ maggiori cittadini di quella città, e questo fu che egli desiderava che la sua patria fusse Arezzo, e che per ciò volentieri arebbe preso a far alcun’opera che l’avesse mantenuto un tempo nelle fatiche dell’arte, nelle quali egli arebbe potuto mostrare in quella città il valore della sua virtù. Messer Giuliano, adunque, uomo ingegnoso e che desiderava abellire la sua patria, e che in essa fussero persone che attendessero alle virtù, operò di maniera con gl’uomini che allora governavano la Compagnia della Nunziata, i quali avevano fatto di quei giorni murare una volta grande nella lor chiesa con intenzione di farla dipignere, che fu allogato a Niccolò un arco delle facce di quella, con pensiero di fargli dipignere il rimanente se quella prima parte, che aveva da fare allora, piacesse agl’uomini di detta Compagnia. Messosi dunque Niccolò intorno a quest’opera con molto studio, in due anni fece la metà, e non più di uno arco, nel quale lavorò a fresco la Sibilla tiburtina che mostra a Ottaviano imperadore la Vergine in cielo col Figliuol Gesù Cristo in collo et Ottaviano, che con reverenza l’adora. Nella figura del quale Ottaviano ritrasse il detto Messer Giuliano Bacci et in un giovane grande che ha un panno rosso, Domenico suo creato, et in altre teste altri amici suoi. Insomma si portò in quest’opera di maniera, che ella non dispiacque agl’uomini di quella Compagnia, né agl’altri di quella città. Ben è vero che dava fastidio a ognuno il vederlo così lungo e penar tanto a condurre le sue cose, ma con tutto ciò gli sarebbe stato dato a finire il rimanente se non l’avesse impedito la venuta in Arezzo del Rosso fiorentino, pittor singolare al quale, essendo messo inanzi da Giovan