Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/69

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Antonio Lappoli pittore aretino e da Messer Giovanni Polastra, come si è detto in altro luogo, fu allogato con molto favore il rimanente di quell’opera. Di che prese tanto sdegno Niccolò, che se non avesse tolto l’anno inanzi donna et avutone un figliuolo, dove era accasato in Arezzo, si sarebbe subito partito. Pur finalmente quietatosi, lavorò una tavola per la chiesa di Sargiano, luogo vicino ad Arezzo due miglia, dove stanno frati de’ zoccoli, nella quale fece la Nostra Donna assunta in cielo con molti putti che la portano, a’ piedi di San Tomaso che riceve la cintola et a torno San Francesco, S. Lodovico, S. Giovanni Battista e Santa Lisabetta regina d’Ungheria. In alcuna delle quali figure e particularmente in certi punti, si portò benissimo; e così anco nella predella fece alcune storie di figure piccole, che sono ragionevoli. Fece ancora nel convento delle monache delle Murate del medesimo Ordine, in quella città, un Cristo morto con le Marie, che per cosa a fresco è lavorata pulitamente. E nella Badia di Santa Fiore de’ monaci Neri, fece dietro al Crucifisso, che è posto in sull’altar maggiore, in una tela a olio, Cristo che ora nell’orto e l’Angelo che, mostrandogli il calice della Passione, lo conforta, che invero fu assai bella e buon’opera. Alle monache di San Benedetto d’Arezzo, dell’Ordine di Camaldoli, sopra una porta per la quale si entra nel monastero fece in un arco la Nostra Donna, San Benedetto e Santa Caterina, la quale opera fu poi, per aggrandire la chiesa, gettata in terra. Nel castello di Marciano in Valdichiana, dov’egli si tratteneva assai, vivendo parte delle sue entrate che in quel luogo aveva e parte di qualche guadagno che vi faceva, cominciò Niccolò in una tavola un Cristo morto e molte altre cose con le quali si andò un tempo trattenendo. Et in quel mentre, avendo appresso di sé il già detto Domenico Giuntalochi da Prato, si sforzava, amandolo et appresso di sé tenendolo come figliuolo, che si facesse eccellente nelle cose dell’arte, insegnandoli a tirare di prospettiva, ritrarre di naturale e disegnare, di maniera che già in tutte queste parti riusciva bonissimo e di bello e buono ingegno. E ciò faceva Niccolò, oltre all’essere spinto dall’affezione et amore che a quel giovane portava, con isperanza, essendo già vicino alla vecchiezza, d’avere chi l’aiutasse e gli rendesse negl’ultimi anni il cambio di tante amorevolezze e fatiche. E di vero fu Niccolò amorevolissimo con ognuno e di natura sincero e molto amico di coloro che s’affaticavano per venire da qualche cosa nelle cose dell’arte; e quello che sapeva l’insegnava più che volentieri. Non passò molto dopo queste cose, essendo da Marciano tornato in Arezzo Niccolò e da lui partitosi Domenico, che s’ebbe a dare dagli uomini della Compagnia del Corpo di Cristo di quella città a dipignere una tavola per l’altare maggiore della chiesa di San Domenico, per che disiderando di farla Niccolò e parimente Giorgio Vasari allora giovinetto, fece Niccolò quello che per aventura non farebbono oggi molti dell’arte nostra. E ciò fu che, veggendo egli, il quale era uno degli uomini della detta Compagnia, che molti per tirarlo inanzi si contentavano di farla fare a Giorgio e che egli n’aveva disiderio grandissimo, si risolvé, veduto lo studio di quel giovinetto, deposto il bisogno e disiderio proprio, di far sì che i suoi compagni l’allogassino a Giorgio; stimando più il frutto che quel giovane potea riportare di quell’opera, che il suo proprio utile et interesse.