Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/90

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era architettore di palazzo e faceva ogni cosa. Costoro dunque avendo alcun sospetto di esso Giorgio, il quale si rideva di quella loro vanità e sciocchezze e più cercava di farsi da qualcosa mediante gli studii dell’arte, che con favore, non pensavano al fatto suo, quando gli fu dato ordine dal signor Duca che facesse la detta tela con la già detta invenzione. La quale opera egli condusse in sei giorni di chiaro scuro e la diede finita in quel modo che sanno coloro che videro quanta grazia et ornamento ella diede a tutto quello apparato e quanto ella rallegrasse quella parte, che più n’aveva bisogno in quel tempio e nelle magnificenze di quella festa. Si portò dunque tanto bene il Tribolo, per tornare oggimai onde mi sono, non so come, partito, che ne meritò somma lode, et una gran parte degl’ornamenti, che fece fra le colonne, volse il Duca che vi fussero lasciati, e vi sono ancora e meritamente. Fece il Tribolo alla villa di Cristofano Rinieri a Castello, mentre che attendeva alle fonti del Duca, sopra un vivaio, che è in cima a una ragnaia, in una nicchia un fiume di pietra bigia grande quanto il vivo, che getta acqua in un pilo grandissimo della medesima pietra; il qual fiume, che è fatto di pezzi, è commesso con tanta arte e diligenza, che pare tutto d’un pezzo. Mettendo poi mano il Tribolo per ordine di sua eccellenza voler finire le scale della libreria di San Lorenzo, cioè quelle che sono nel ricetto dinanzi alla porta, messi che n’ebbe quattro scaglioni, non ritrovando né il modo, né le misure di Michelagnolo, con ordine del Duca andò a Roma, non solo per intendere il parere di Michelagnolo intorno alle dette scale, ma per far opera di condurre lui a Firenze. Ma non gli riuscì né l’uno, né l’altro, perciò che non volendo Michelagnolo partire di Roma con bel modo si licenziò, e quanto alle scale mostrò non ricordarsi più né di misure né d’altro. Il Tribolo dunque, essendo tornato a Firenze e non potendo seguitare l’opera delle dette scale, si diede a far il pavimento della detta libreria di mattoni bianchi e rossi, sì come alcuni pavimenti che aveva veduti in Roma, ma vi aggiunse un ripieno di terra rossa nella terra bianca, mescolata col bolo per fare diversi intagli in que’ mattoni. E così questo pavimento fece ribattere tutto il palco e soffittato di sopra, che fu cosa molto lodata. Cominciò poi e non finì, per mettere nel maschio della fortezza della porta a Faenza, per don Giovanni di Luna, allora castellano, un’arme di pietra bigia et un’aquila di tondo rilievo grande con due capi, quali fece di cera perché fusse gettata di bronzo, ma non se ne fece altro e dell’arme rimase solamente finito lo scudo. E perché era costume della città di Fiorenza fare quasi ogni anno per la festa di San Giovanni Battista, in sulla piazza principale, la sera di notte una girandola, cioè una machina piena di trombe di fuoco e di razzi et altri fuochi lavorati, la quale girandola aveva ora forma di tempio, ora di nave, ora di scogli e talora d’una città o d’uno Inferno, come più piaceva all’inventore, fu dato cura un anno di farne una al Tribolo, il quale la fece, come di sotto si dirà, bellissima. E perché delle varie maniere di tutti questi così fatti fuochi, e particolarmente de’ lavorati, tratta Vannoccio Sanese et altri, non mi distenderò in questo, dirò bene alcune cose delle qualità delle girandole. Il tutto adunque si fa di legname, con spazii larghi che spuntino in fuori da piè, acciò che i raggi, quando hanno avuto fuoco, non accendano gl’