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VITA DI GIOTTO 125

(versione diplomatica)


(versione critica)


Ma essendo non molto dopo creato papa Clemente Quinto in Perugia, per esser morto papa Benedetto Nono, fu forzato Giotto andarsene con quel Papa là dove condusse la corte, in Avignone, per farvi alcune opere; per che andato, fece, non solo in Avignone, ma in molti altri luoghi di Francia, molte tavole e pitture a fresco bellissime, le quali piacquero infinitamente al Pontefice e a tutta la corte. Laonde, spedito che fu, lo licenziò amorevolmente e con molti doni; onde se ne tornò a casa non meno ricco che onorato e famoso, e fra l’altre cose recò il ritratto di quel Papa, il quale diede poi a Taddeo Gaddi suo discepolo: e questa tornata di Giotto in Firenze fu l’anno 1316. Ma non però gli fu conceduto fermarsi molto in Firenze; perchè condotto a Padoa per opera de’ Signori della Scala, dipinse nel Santo, chiesa stata fabricata in que’ tempi, una capella bellissima. Di lì andò a Verona, dove a messer Cane fece nel suo palazzo alcune pitture e particolarmente il ritratto di quel Signore; e ne’ frati di S. Francesco una tavola. Compiute queste opere, nel tornarsene in Toscana gli fu forza fermarsi in Ferrara, e dipignere in servigio di que’ Signori Estensi in palazzo, et in S. Agostino alcune cose che ancora oggi vi si veggiono. Intanto venendo agli orecchi di Dante poeta fiorentino che Giotto era in Ferrara, operò di maniera che lo condusse a Ravenna, dove egli si stava in esilio, e gli fece fare in S. Francesco per i Signori da Polenta alcune storie in fresco intorno alla chiesa, che sono ragionevoli. Andato poi da Ravenna a Urbino, ancor quivi lavorò alcune cose. Poi occorrendogli passar per Arezzo, non potette non compiacere Piero Saccone che molto l’aveva carezzato, onde gli fece in un pilastro della capella maggiore del Vescovado in fresco un S. Martino, che tagliatosi il mantello nel mezzo, ne dà una parte a un povero che gli è inanzi quasi tutto ignudo. Avendo poi fatto nella Badia di Santa Fiora, in legno, un Crucifisso grande a tempera, che è oggi nel mezzo di quella chiesa, se ne ritornò finalmente in Firenze, dove fra l’altre cose, che furono molte, fece nel monasterio delle Donne di Faenza alcune pitture et in fresco et a tempera, che oggi non sono in essere per esser rovinato quel monasterio. Similmente l’anno 1322, essendo l’anno innanzi con suo molto dispiacere morto Dante suo amicissimo, andò a Lucca, et a richiesta di Castruccio, Signore allora di quella città sua patria, fece una tavola in S. Martino, drentovi un Cristo in aria e quattro Santi protettori di quella città, cioè S. Piero, S. Regolo, S. Martino e S. Paulino, i quali mostrano di raccomandare un Papa et un Imperator: i quali, secondo che per molti si crede, sono Federigo Bavaro e Nicola Quinto antipapa. Credono parimente alcuni che Giotto disegnasse a S. Fridiano nella medesima città di Lucca il castello e fortezza della Giusta, che è inespugnabile. Dopo, essendo Giotto ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria suo primogenito, il quale si trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto a Napoli, perciò che avendo finito di fabricare S. Chiara monasterio di donne e chiesa reale, voleva che da lui fusse di nobile pittura adornata. Giotto adunque sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamare, andò più che volentieri a servirlo, e giunto, dipinse in alcune capelle del detto monasterio molte storie del Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l’Apocalisse che fece in una di dette capelle, furono, per quanto si dice, invenzione di Dante, come per avventura