Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/277

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carni vere e delicatissime, oltra che non si possono vedere capegli dipinti meglio lavorati. Questo quadro fu dipinto per Messer Pietro Aretino, ma venendo in quel tempo papa Clemente a Bologna, Francesco glielo donò; poi, comunche s’andasse la cosa, egli capitò alle mani di Messer Dionigi Gianni, et oggi l’ha Messer Bartolomeo suo figliuolo, che l’ha tanto accommodato, che ne sono state fatte (cotanto è stimato) cinquanta copie. Fece il medesimo alle monache di Santa Margherita in Bologna, in una tavola, una Nostra Donna, Santa Margherita, San Petronio, San Girolamo e San Michele, tenuta in somma venerazione sì come merita, per essere nell’aria delle teste et in tutte l’altre parti, come le cose di questo pittore sono tutte quante. Fece ancora molti disegni, e particolarmente alcuni per Girolamo del Lino, et a Girolamo Fagiuoli orefice et intagliatore, che gli cercò per intagliargli in rame, i quali disegni sono tenuti graziosissimi. Fece a Bonifazio Gozadino il suo ritratto di naturale e quello della moglie, che rimase imperfetto. Abbozzò anco un quadro d’una Madonna, il quale fu poi venduto in Bologna a Giorgio Vasari aretino, che l’ha in Arezzo nelle sue case nuove e da lui fabricate, con molte altre nobili pitture, sculture e marmi antichi, Quando l’imperadore Carlo Quinto fu a Bologna perché l’incoronasse Clemente Settimo, Francesco, andando talora a vederlo mangiare, fece senza ritrarlo l’imagine di esso Cesare a olio in un quadro grandissimo, et in quello dipinse la Fama che lo coronava di lauro, et un fanciullo in forma d’un Ercole piccolino che gli porgeva il mondo quasi dandogliene il dominio. La quale opera, finita che fu, la fece vedere a papa Clemente, al quale piacque tanto che mandò quella e Francesco insieme, accompagnati dal vescovo di Vasona, allora datario, all’imperadore. Onde essendo molto piaciuta a Sua Maestà, fece intendere che si lasciasse; ma Francesco, come mal consigliato da un suo poco fedele o poco saputo amico, dicendo che non era finita, non la volle lasciare; e così Sua Maestà non l’ebbe et egli non fu, come sarebbe stato senza dubbio, premiato. Questo quadro, essendo poi capitato alle mani del cardinale Ipolito de’ Medici, fu donato da lui al cardinale di Mantoa, et oggi è in guardaroba di quel Duca, con molte altre belle e nobilissime pitture. Dopo essere stato Francesco, come si è detto, tanti anni fuor della patria e molto esperimentatosi nell’arte, senza aver fatto però acquisto nessuno di facultà, ma solo d’amici, se ne tornò finalmente, per sodisfare a molti amici e parenti, a Parma; dove, arrivato, gli fu subito dato a lavorare in fresco nella chiesa di Santa Maria della Steccata, una volta assai grande; ma perché inanzi alla volta era un arco piano che girava secondo la volta a uso di faccia, si mise a lavorare prima quello come più facile, e vi fece sei figure, due colorite e quattro di chiaro scuro molto belle; e fra l’una e l’altra alcuni molto belli ornamenti, che mettevano in mezzo rosoni di rilievo. I quali egli da sé, come capriccioso, si mise a lavorare di rame, facendo in essi grandissime fatiche. In questo medesimo tempo fece al cavalier Baiardo, gentiluomo parmigiano e suo molto familiare amico, in un quadro un Cupido che fabrica di sua mano un arco: a’ piè del quale fece due putti, che sedendo uno piglia l’altro per un braccio e ridendo vuol che tocchi Cupido con un dito, e quegli, che non vuol toccarlo, piange mostrando aver paura di non cuocersi al fuoco d’amore. Questa