Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/374

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olio quando Icaro, ammaestrato dal padre Dedalo, per volere troppo alzarsi volando, veduto il segno del cancro, il carro del sole tirato da quattro cavalli in iscorto vicino al segno del leone, rimane senz’ali, essendo dal calore del sole distrutta la cera; et appresso il medesimo precipitando si vede in aria quasi cascare addosso a chi lo mira, tutto tinto nel volto di color di morte. La quale invenzione fu tanto bene considerata et immaginata da Giulio, ch’ella par proprio vera: perciò che vi si vede il calore del sole, friggendo, abruciar l’ali del misero giovane, il fuoco acceso far fumo, e quasi si sente lo scoppiare delle penne che abruciano, mentre si vede scolpita la morte nel volto d’Icaro et in Dedalo la passione et il dolore vivissimo. E nel nostro libro de’ disegni di diversi pittori è il proprio disegno di questa bellissima storia di mano di esso Giulio; il quale fece nel medesimo luogo le storie de’ dodici mesi dell’anno e quello che in ciascuno d’essi fanno l’arti più dagl’uomini esercitate; la quale pittura non è meno capricciosa e di bella invenzione e dilettevole, che fatta con giudizio e diligenza. Passata questa loggia grande lavorata di stucchi e con molte armi et altri varii ornamenti bizzarri, s’arriva in certe stanze piene di tante varie fantasie che vi s’abaglia l’intelletto; perché Giulio, che era capricciosissimo et ingegnoso, per mostrare quanto valeva, in un canto del palazzo che faceva una cantonata simile alla sopra detta stanza di Psiche, disegnò di fare una stanza la cui muraglia avesse corrispondenza con la pittura, per ingannare quanto più potesse gl’uomini che dovevano vederla. Fatto dunque fondare quel cantone, che era in luogo paduloso, con fondamenti alti e doppi, fece tirare sopra la cantonata una gran stanza tonda e di grossissime mura, acciò che i quattro cantoni di quella muraglia dalla banda di fuori venissero più gagliardi e potessino regger una volta doppia e tonda a uso di forno. E ciò fatto, avendo quella camera cantoni, vi fece per lo girare di quella a’ suoi luoghi murare le porte, le finestre et il camino di pietre rustiche a caso scantonate e quasi in modo scommesse e torte, che parea proprio pendessero in sur un lato e rovinassero veramente. E murata questa stanza così stranamente, si mise a dipignere in quella la più capricciosa invenzione che si potesse trovare, cioè Giove che fulmina i giganti; e così figurato il cielo, nel più alto della volta vi fece il trono di Giove, facendono in iscorto al disotto in su et in faccia e dentro a un tempio tondo sopra le colonne trasforato di componimento ionico e con l’ombrella nel mezzo sopra il seggio, con l’aquila sua, e tutto posto sopra le nuvole; e più a basso fece Giove irato che fulmina i superbi giganti, e più a basso è Giunone che gli aiuta, et intorno i venti che con certi visi strani soffiano verso la terra, mentre la dea Opis si volge con i suoi leoni al terribile rumor de’ fulmini, sì come ancor fanno gl’altri dei e dee e massimamente Venere, che è a canto a Marte e Momo, che con le braccia aperte pare che dubiti che non rovini il cielo, e non di meno sta immobile. Similmente le Grazie si stanno tutte piene di timore, e l’Ore appresso quelle nella medesima maniera. Et insomma ciascuna deità si mette con i suoi carri in fuga; la luna con Saturno et Iano vanno verso il più chiaro de’ nuvoli per allontanarsi da quell’orribile spavento e furore, et il medesimo fa Nettunno, perciò che con i suoi delfini pare che cerchi fermarsi sopra il tridente. E Pallade