Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/406

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voglia di ritornare a Genova, dove aveva preso e pratiche amorose et altri suoi piaceri, a’ quali egli era inclinato a certi tempi. Nella sua partita diede una tavoletta dipinta a olio, ch’egli aveva fatta loro, alle monache di San Maffeo, che è dentro nel munistero fra loro. Arrivato poi in Genova, dimorò in quella molti mesi facendo per il prencipe altri lavori ancora. Dispiacque molto all’Operaio di Pisa la partita sua, ma molto più il rimanere quell’opera imperfetta, onde non restava di scrivergli ogni giorno che tornasse, né di domandarne la moglie d’esso Perino, la quale egli aveva lasciata in Pisa; ma veduto finalmente che questa era cosa lunghissima, non rispondendo o tornando, allogò la tavola di quella cappella a Giovann’Antonio Sogliani, che la finì e la mise al suo luogo. Ritornato non molto dopo Perino in Pisa, vedendo l’opera del Sogliano si sdegnò, né volle altrimenti seguitare quello che aveva cominciato, dicendo non volere che le sue pitture servissino per fare ornamento ad altri maestri. Laonde si rimase per lui imperfetta quell’opera, e Giovan Antonio la seguitò tanto che egli vi fece quattro tavole, le quali parendo poi a Sebastiano della Seta, nuovo Operaio, tutte in una medesima maniera e più tosto manco belle della prima, ne allogò a Domenico Beccafumi sanese, dopo la prova di certi quadri che egli fece intorno alla sagrestia che son molto belli, una tavola ch’egli fece in Pisa. La quale non sodisfacendoli come i quadri primi, ne fecero fare due ultime, che vi mancavano, a Giorgio Vasari aretino, le quali furono poste alle due porte accanto alle mura delle cantonate nella facciata dinanzi della chiesa. De le quali insieme con le altre molte opere grandi e piccole, sparse per Italia e fuora in più luoghi, non conviene che io parli altramenti, ma ne lascerò il giudizio libero a chi le ha vedute o vedrà. Dolse veramente quest’opera a Perino, avendo già fatti i disegni, che erano per riuscire cosa degna di lui e da far nominare quel tempio, oltre all’antichità sue, molto maggiormente, e da fare immortale Perino ancora. Era a Perino nel suo dimorare tanti anni in Genova, ancora che egli ne cavasse utilità e piacere, venutagli a fastidio, ricordandosi di Roma nella felicità di Leone. E quantunque egli nella vita del cardinale Ippolito de’ Medici avesse avuto lettere di servirlo e si fusse disposto a farlo, la morte di quel signore fu cagione che così presto egli non si rimpaniassi. Stando dunque le cose in questo termine e molti suoi amici procurando il suo ritorno, et egli infinitamente più di loro, andarono più lettere in volta, et in ultimo una mattina gli toccò il capriccio, e senza far motto partì di Pisa et a Roma si condusse. Dove fattosi conoscere al reverendissimo cardinale Farnese e poi a papa Paulo, sté molti mesi che egli non fece niente: prima, perché era trattenuto d’oggi in domane, e poi, perché gli venne male in un braccio, di sorte che egli spese parecchi centinaia di scudi, senza il disagio, inanzi che ne potesse guarire; per il che, non avendo chi lo trattenesse, fu tentato per la poca carità della corte partirsi molte volte; pure, il Molza e molti altri suoi amici lo confortavano ad aver pacienza, con dirgli che Roma non era più quella, e che ora ella vuole che un sia stracco et infastidito da lei innanzi ch’ella l’elegga et accarezzi per suo; e massimamente chi seguita l’orme di qualche bella virtù. Comperò in questo tempo Messer Pietro de’ Massimi una cappella alla Trinità,