Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. I, 1912 – BEIC 1904739.djvu/288

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mente lo Stato? ossia una nozione per nulla diversa da quella odierna? L’unica differenza sta nel fatto che quelli erano agenti diplomatici temporanei e gli odierni sono permanenti: ma i larghissimi poteri loro concessi nelle «commissioni», le trattative da essi condotte anche su questioni differenti da quelle per cui specialmente erano inviati, la stessa quantitá di notizie e informazioni che dagli Stati esteri recavano alla patria nelle relazioni, non dimostrano che, se non permanente, almeno completa rappresentanza dello Stato loro spettava?

Oltre la natura stessa dell’uffizio dell’ambasciatore, ben delineata dal Buzzati, le molteplici leggi, spesso ripetute o modificate attraverso i secoli, riguardano il séguito dell’ambasciatore, il numero degli staffieri e dei cavalli, lo stipendio, le spese ordinarie e straordinarie, i compensi per danni subiti, i conti da presentare al ritorno, ed altri minuti particolari. Emanate dal senato e dal Maggior Consiglio, in gran parte esse sono trascritte anche nella raccolta Compilazione leggi-Ambasciatori dell’Archivio di Stato in Venezia. Per il nostro compito basta fermarci su pochi punti.

Ai primi inviati straordinari vennero in progresso di tempo sostituiti inviati permanenti, col titolo di «ambasciatore ordinario», alle corti di Vienna, di Parigi, di Madrid, di Roma; col titolo di «bailo» a Costantinopoli; col titolo di «residente» a Londra, a Milano, a Napoli, a Torino, e nel secolo xvii a Mantova; pur continuando ad essere inviati ambasciatori straordinari a codeste stesse corti e ad altre in circostanze speciali. Gli ambasciatori erano dell’ordine patrizio e doveano avere almeno 38 anni (Maggior Consiglio , 22 marzo 1640); i residenti erano dell’ordine de’ segretari.

Salvo infermitá propria o del padre, della madre, della moglie, del figlio e del fratello, l’eletto non poteva dapprima rifiutare il carico sotto pena di 20 soldi di grossi (Maggior Consiglio, 27 aprile r286). Ma la prisca severitá venne attenuandosi, e per l’accettazione furono concessi otto giorni (Maggior Consiglio, 21 settembre 1522), che si prolungarono fino a un mese (Maggior Consiglio, 24 settembre 1651), dopo il qual termine chi rifiutava veniva punito. Anche il termine, entro il quale l’ambasciatore doveva partire, subì varie modificazioni, giungendo da pochi giorni fino a quattro mesi, ed era di volta involta espressamente stabilito nella «commissione». Infine variò pure la durata della legazione: l’ambasciatore, travagliato dalle gravi spese, cercava di ritornare almeno entro un anno; ma il senato non riteneva tale periodo sufficiente per la piena conoscenza delle corti estere, e però fissava prima due anni per gli