Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/137

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Phileas Fogg assisteva a quello spettacolo d’un mare furibondo, che pareva lottasse direttamente contro di lui, con la sua abituale impassibilità. La sua fronte non si oscurò neanco un istante, eppure un ritardo di venti ore poteva compromettere il suo viaggio, facendolo mancare alla partenza del piroscafo di Yokohama. Ma quell’uomo senza nervi non risentiva nè impazienza nè noia. Pareva proprio che quella tempesta fosse compresa nel suo programma, che fosse prevista. Mistress Auda, che s’intratteneva col suo compagno di quel contrattempo, lo trovò non meno calmo che pel passato.

Fix, lui, non vedeva queste cose di pari occhio: tutt’altro. Quella tempesta gli piaceva, la sua soddisfazione sarebbe anzi stata sconfinata, se il Rangoon fosse stato obbligato a fuggire dinanzi alla procella. Tutti quei ritardi lo secondavano, poichè obbligherebbero il signor Fogg a rimanere qualche giorno a Hong-Kong. Infine, il cielo con le sue raffiche e le sue burrasche favoriva il suo gioco. Egli era bensì un pochino ammalato, ma che monta! egli non badava alle nausee, e, quando il corpo gli si torceva sotto il mal di mare, la sua faccia traspirava una immensa soddisfazione.

Quanto a Gambalesta, potete figurarvi in quale ira poco dissimulata egli trascorresse quel cimento. Finora tutto era andato così bene! La terra e l’acqua sembravano essere al comando del suo padrone; battelli e ferrovie gli obbedivano; il vento ed il vapore si univano per favorire il suo viaggio. L’ora della disdetta era dunque suonata. Gambalesta, come se le ventimila sterline della scommessa avessero