Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/179

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a righe bianche e armati di fucili a percussione, uomini d’armi del mikado, insaccati nella loro giubba di seta, con giaco e saio di maglie, e un’infinità di altri militari di ogni condizione, poichè al Giappone la professione del soldato è altrettanto stimata quanto in Cina è sprezzata. Poi frati questuanti, pellegrini in lunghe vesti, semplici borghesi dalla capigliatura liscia e di un nero d’ebano, testa grossa, busto lungo, gambe gracili, statura poco elevata, carnagione colorita dalle cupe tinte del rame sino al bianco latteo, ma mai gialla come quella dei Cinesi da cui i Giapponesi differiscono essenzialmente. Finalmente, tra le carrozze, i palanchini, i cavalli, i portatori, le carriole a vela, i norimon a pareti di lacca, i cango soffici, veri letti in bambù, si vedevano circolare a piccoli passi col loro piedino calzato di scarpe di tela, di sandali di paglia o di zoccoli in legno lavorato, alcune donne poco belle, dagli occhi dipinti, dal petto depresso, dai denti anneriti secondo la moda del giorno, ma portanti con eleganza l’abito nazionale, il kirimon, specie di veste da camera incrociata da una ciarpa di seta, la cui larga cintura si risolveva di dietro in un nodo stravagante, — che le moderne Parigine sembrano aver tolto a prestito alle Giapponesi.

Gambalesta passeggiò per alcune ore in mezzo a quella folla variopinta, guardando anche le curiose ed opulente botteghe, i bazar ove s’ammucchia tutta la canutiglia dell’oreficeria giapponese, le restaurations adorne di banderuole e di bandiere, nelle quali gli era vietato d’entrare, e quelle case di thè dove si beve a tazza colma l’acqua calda e odorosa, e il saki, bevanda estratta dal riso in fermentazione, e quelle comode tabagìe dove si fuma un tabacco