Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/180

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finissimo e non già l’oppio, il cui uso è quasi sconosciuto al Giappone.

Indi, Gambalesta si trovò nei campi in mezzo alle immense risaie. Ivi, si presentavano alla vista, con fiori che sfoggiavano i loro ultimi colori e i loro ultimi profumi, delle camelie sfarzose, non già sopra arboscelli, ma sopra veri alberi, e nei recinti i bambù, i ciliegi, i susini, i meli, che i Giapponesi coltivano più pei loro fiori che pei loro frutti, e che dei fantocci smorfiosi, degli arganelli striduli difendono dal becco dei passeri, dei colombi, dei corvi, ed altri volatili voraci. Non un cedro maestoso che non alberghi qualche grande aquila, non un salice piangente che non nasconda nel suo fogliame qualche airone, malinconicamente appollaiato sopra una zampa; insomma dovunque cornacchie, anitre, sparvieri, oche selvatiche, e gran numero di quelle grù che i Giapponesi trattano da Eccellenze, e che simboleggiano per essi la longevità e la felicità.

Errando così, alla ventura. Gambalesta scorse alcune violette tra l’erbe:

— To’! diss’egli, ecco la mia cena.

Ma avendole odorate, non trovò in loro alcun profumo.

— Fortuna avversa! pensò egli.

Vero è che l’onesto giovane aveva, in previsione, fatta la colazione più copiosa che avesse potuto, prima di lasciare il Carnatic; ma dopo una giornata di passeggiata, si sentì lo stomaco molto vuoto. Egli aveva pur notato che pecore, capre o maiali mancavano assolutamente alle mostre dei macellai indigeni, e, siccome sapeva che era un sacrilegio l’uccidere i buoi, unicamente riservati ai bisogni dell’agricoltura, ne aveva concluso che la carne fosse rara al