Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/210

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ttere all’onorevole Phileas Fogg, — egli lo sperava almeno, — d’imbarcarsi, l’11, a Nuova York, sul piroscafo di Liverpool.

Il vagone occupato da Phileas Fogg era una specie di lungo omnibus che riposava sopra due treni a quattro ruote ciascuno, la cui mobilità permette di affrontare delle curve di piccolo raggio. Nell’interno punto scompartimenti: due filari di sedili, disposti dai lati, perpendicolarmente all’asse, e tra i quali era riservato un passaggio che conduceva in gabinetti di teletta ed altri, di cui ciascun vagone era provvisto. Per tutta la lunghezza del treno i vagoni comunicavano fra loro per mezzo di passatoi, e i viaggiatori potevano circolare da un’estremità all’altra del convoglio, che offriva loro vagoni-saloni, vagoni-terrazze, vagoni-ristoranti e vagoni-caffè. Non vi mancavano che i vagoni-teatri; ma un giorno ci saranno anche quelli.

Sui passatoi circolavano continuamente mercanti di libri e di giornali spacciando la loro mercanzia, e venditori di liquori, di commestibili, di sigari, che non mancavano di avventori.

I viaggiatori erano partiti dalla stazione di Oakland alle sei di sera. Faceva già notte, — una notte fredda, cupa, con un cielo ingombro da nubi che minacciavano di risolversi in neve. Il treno non camminava con grande rapidità. Tenendo conto delle fermate, esso non percorreva più di venti miglia all’ora, celerità che doveva, però, bastargli per correre gli Stati Uniti nei tempi regolamentari.

Si ciarlava poco nel vagone. E poi i viaggiatori incominciavano a sentire il bisogno di dormire. Gambalesta si trovava collocato accanto all’ispettore di polizia, ma non gli parlava. Dopo gli ultimi avvenimenti, le loro relazioni eransi notevolmente raffreddate. Non più simpatie, non più intimi