Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/230

Da Wikisource.

a a Passe-Bridger, ad un’altezza di settemila cinquecentoventiquattro piedi inglesi al disopra del livello del mare, uno dei punti più alti toccati dal profilo del tracciato in quel passaggio attraverso le Montagne Rocciose. Ancora duecento miglia circa, e i viaggiatori si troverebbero finalmente su quelle lunghe pianure che si estendono fino all’Atlantico, e che la natura rendeva così propizie alla costruzione di una strada ferrata.

Sul versante del bacino atlantico si vedevano già i primi rii affluenti o subaffluenti del North-Platte-River. Tutto l’orizzonte del nord e dell’est era coperto da un’immensa cortina semicircolare, che forma la porzione settentrionale dei Rocky-Mountains, dominata dal picco di Laramia. Tra quest’incurvatura e la linea di ferro si estendevano vaste pianure, largamente irrigate. Sulla destra del rail-road si addossavano le prime salite del masso montagnoso che s’arrotonda al sud sino alle sorgenti del fiume dell’Arkansas, uno dei grandi tributarii del Missurì.

Mezz’ora dopo mezzodì, i viaggiatori intravedevano per un istante il forte Halleck che domina quella contrada. Ancora poche ore, e la traversata delle Montagne Rocciose sarebbe compiuta. Si poteva dunque sperare che nessun accidente segnalerebbe il passaggio del treno, traverso quella difficile regione. La neve aveva cessato di cadere. Il tempo si metteva al freddo asciutto. I grandi uccelli, spaventati dalla locomotiva, fuggivano lontano. Nessuna belva, orso nè lupo, si mostrava sul piano. Era il deserto nella sua immensa nudità.

Dopo una buona colazione, servita sullo stesso vagone, il signor Fogg e i suoi compagni si erano rimessi al loro interminabile whist, allorchè violenti fischi colpirono il loro orecchio. Il treno si fermò.