Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/232

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esserlo.

Gambalesta, non osando andare a prevenire il suo padrone, ascoltava a denti stretti, immobile come una statua.

— Oh che! esclamò il colonnello Proctor, non staremo qui, m’immagino, a piantar radice nella neve?

— Colonnello, rispose il conduttore, si è telegrafato alla stazione di Omaha per chiedere un treno, ma non è probabile che giunga a Medicine-Bow prima di sei ore.

— Sei ore! esclamò Gambalesta.

— Sicuramente, rispose il conduttore. Del resto, questo tempo ci sarà necessario per portarci a piedi alla stazione.

— Come! se non è che ad un miglio da noi, disse uno dei viaggiatori.

— Un miglio, sì, ma dall’altro lato del fiume.

— E questo fiume non lo si può traghettare in battello? chiese il colonnello.

— Impossibile. Il creek è ingrossato dalle pioggie. È una rapida, e saremo costretti di fare un giro di dieci miglia al nord per trovare un guado.

Il colonnello lanciò un bordata di bestemmie, pigliandosela con la compagnia, pigliandosela col conduttore, e Gambalesta furente, non era lontano dal fare coro con lui. C’era qui un ostacolo materiale contro il quale fallirebbero, stavolta, tutte le banconote del suo padrone.

Inoltre il rammarico era generale tra i viaggiatori, che, senza contare il ritardo, si vedevano costretti a fare una quindicina di miglia attraverso la pianura coperta di neve. Da qui un inferno di grida, di esclamazioni che avrebbero certamente attirato l’attenzione di Phileas Fogg, se questo gentleman non fosse stato assorto dal