Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/273

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Il 13, passa sulla coda del banco di Terranova. Sono cattivi paraggi. Durante l’inverno, specialmente, le nebbie vi sono frequenti, i colpi di vento formidabili. Fin dal dì prima, il barometro, improvvisamente abbassato, faceva presentire un cangiamento prossimo nell’atmosfera. Infatti, durante la notte la temperatura si modificò, il freddo divenne più vivo, e in pari tempo il vento saltò nel sud-est.

Era un contrattempo. Il signor Fogg, affine di non iscostarsi dalla sua via, dovette ripiegare le vele e far forza col vapore. Contuttociò, il cammino della nave fu rallentato, a cagione dello stato del mare, i cui lunghi cavalloni s’infrangevano contro la sua asta di prora. Essa subì dei movimenti di beccheggio violentissimi, e ciò a detrimento della sua celerità. La brezza volgeva a poco a poco ad uragano, e si prevedeva già il caso in cui l’Henrietta non potrebbe più tener testa alle onde. Ora, se si doveva fuggire, si andava incontro all’ignoto con tutti i suoi brutti rischi.

La faccia di Gambalesta si rabbuiò insieme al cielo, e durante due giorni l’onesto figliuolo provò angoscie mortali. Ma Phileas Fogg era un marinaio ardito, che sapeva tener testa al mare, e continuò imperterrito la sua via, senza neppur mettersi a piccolo vapore.

La Henrietta, quando non poteva innalzarsi sulle onde, le passava parte a parte; il suo ponte era spazzato da un capo all’altro, ma passava. Qualche volta altresì l’elice emergeva, battendo l’aria con le sue braccia affannate, quando una montagna d’acqua sollevava la poppa fuor dei flutti, ma il maraviglioso battello si spingeva sempre innanzi con la prua.