Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/67

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a il Gange a Benares, se ne discosta lievemente, e, ridiscendendo al sud-est per Burdivan e la città francese di Chandernagor, fa testa di linea a Calcutta.

I passaggieri del Mongolia erano sbarcati a Bombay alle quattro e mezzo pomeridiane, ed il treno di Calcutta partiva alle otto precise.

Il signor Fogg prese dunque commiato dai suoi compagni di giuoco, lasciò il piroscafo, diede al suo servo una noterella di alcune compere da fare, gli raccomandò caldamente di trovarsi prima delle otto alla stazione, e col suo passo regolare che batteva il secondo come il pendolo di un orologio astronomico, si diresse verso l’ufficio dei passaporti.

Cosicchè, delle meraviglie di Bombay egli non intendeva veder nulla; nè il palazzo di città, nè la magnifica biblioteca, nè i forti, nè i docks, nè il mercato del cotone, nè i bazar, nè le sinagoghe, nè le chiese armene, nè la splendida pagoda di Malebar-hill, adorna di due torri poligonali. Egli non contemplerebbe nè i capolavori di Elefanta, nè i suoi misteriosi ipogei, nascosti al sud-est della rada, nè le grotte Kanherie dell’isola Salcette, ammirabili avanzi dell’architettura buddista!

No! nulla. Uscendo dall’ufficio dei passaporti, Phileas Fogg si recò tranquillamente alla stazione, e colà si fe’ servire da pranzo. Tra l’altre pietanze il trattore credette dovergli raccomandare una certa fricassea di «coniglio del paese,» di cui gli disse meraviglie.

Phileas Fogg accettò la fricassea, l’assaggiò coscienziosamente; ma ad onta della sua salsa piccante, la trovò pessima. Chiamò il trattore.

«Signore, gli diss’egli guardandolo fiso, è coniglio questo?