Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/108

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regolari o molto torrefatte, ceneri biancastre, fatte d’una infinità di cristalluzzi felspatici.

Nell’avvicinarsi al primo altipiano formato dalla troncatura del cono inferiore, le difficoltà dell’ascensione furono gravi. Verso le quattro l’estrema zona degli alberi era stata superata. Più non rimanevano, qua e là, se non pochi pini smorfiosi e magri che dovevano aver la vita dura se resistevano, a tant’altezza, ai forti venti di mare.

Fortunatamente per l’ingegnere e per i suoi compagni il tempo era bello, l’atmosfera tranquilla, poichè un impetuoso vento all’altezza di tremila piedi avrebbe imbarazzato le loro evoluzioni. La purezza del cielo allo zenit si sentiva attraverso la trasparenza dell’aria. Una perfetta calma regnava intorno ad essi. Non vedevano più il sole allora nascosto dal cono superiore che mascherava mezzo l’orizzonte dell’ovest, e la cui ombra enorme, allungandosi fino al litorale, cresceva mano mano che l’astro radioso s’abbassava nella sua corsa diurna. Alcuni vapori, nebbie meglio che nuvole, cominciavano a mostrarsi all’est, e si tingevano di tutti i colori dell’iride sotto l’azione dei raggi solari.

Cinquecento piedi solamente separavano allora gli esploratori dall’altipiano a cui dovevano giungere, affine di porvi un attendamento per la notte; ma quei cinquecento piedi crebbero fin oltre due miglia, per le giravolte che bisognava descrivere. Il terreno mancava, per così dire, sotto i piedi. I pendî presentavano spesso un angolo così aperto che si scivolava sui corsi di lava quando le scanalature consumate dall’aria non offrivano un punto d’appoggio sufficiente.

Scendeva la sera a poco a poco, ed era quasi notte, quando Cyrus Smith ed i suoi compagni, stanchi di un’ascensione di quasi due ore, giunsero all’altipiano del primo cono.