Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/110

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letti, e Gedeone Spilett a notare gl’incidenti del giorno, incominciò a seguire l’orlo circolare dell’alti piano, dirigendosi verso il nord. Harbert lo accompagnava.

La notte era bella e tranquilla, l’oscurità poco profonda ancora. Cyrus Smith ed il giovinetto camminavano l’uno presso all’altro senza parlare. In certi luoghi l’altipiano s’apriva largamente innanzi ad essi, onde potevano passare senza inciampi; in altri, ostruito dalle frane, offriva solo uno stretto passo, sul quale due persone non potevano camminare di fronte. Accadde anzi che dopo una camminata di venti minuti, Cyrus Smith ed Harbert dovettero arrestarsi. Quind’innanzi le scarpe dei due coni erano a livello; non v’era più spalla che separasse le due parti della montagna. Farne il giro sopra pendii inclinati a circa settanta gradi era impossibile cosa.

Ma se l’ingegnere ed il giovinetto dovettero rinunciare a seguire una direzione circolare, in compenso fu loro data la possibilità di fare direttamente l’ascensione del cono. In fatti, dinanzi ad essi s’apriva un profondo cavo nel masso. Era la bocca del cratere superiore, la canna, se così si vuole, per cui sfuggivano le materie eruttive liquide al tempo in cui il vulcano era in azione. Le lave indurite, le scorie incrostate, formavano una specie di scalinata naturale, dai gradini largamente disegnati, che dovevano facilitare l’accesso alla vetta della montagna.

Bastò un’occhiata a Cyrus Smith per riconoscere codesta disposizione, e senza esitare, seguito dal giovinetto, si cacciò nell’enorme crepaccio in mezzo alla crescente oscurità.

Rimanevano ancora ben mille piedi da superare; i declivi interni del cratere erano essi praticabili? Rimaneva a vedersi. L’ingegnere era disposto a continuare l’ascensione fino a tanto non fosse arrestato.