Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/126

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male abitava le folte foreste dell’isola, ed era prudenza star sull’avvisato. Di solito Pencroff, Harbert e Nab camminavano innanzi preceduti da Top, che frugava da per tutto; il reporter e l’ingegnere seguivano a costa l’un dell’altro; Gedeone Spilett era pronto a notare ogni incidente; l’ingegnere, silenzioso quasi sempre, non usciva dalla sua via se non per raccogliere ora una cosa ora un’altra, sostanza minerale o vegetale, che metteva in tasca senza dir nulla.

— Che diamine raccoglie così? mormorava Pencroff; ho un bel guardare, ma non vedo nulla che valga la pena di curvarsi.

Verso le dieci la comitiva scendeva gli ultimi gradini del monte Franklin. Il terreno era sparso solo di cespugli e di pochi alberi. Si camminava sopra una terra giallastra e calcinata formante una pianura lunga un buon miglio che precedeva il lembo del bosco. Grossi massi di quel basalto che secondo le esperienze di Biscof abbisognò per raffreddarsi di 350 milioni d’anni, ingombravano la pianura qua e là accidentata. Peraltro non v’erano traccie di lave, le quali s’erano versate specialmente per le falde settentrionali. Cyrus Smith credeva adunque di giungere senza incidenti al rivo, che secondo lui doveva scorrere sotto gli alberi nell’orlo della pianura, quando vide tornare precipitosamente Harbert, mentre Nab ed il marinajo si nascondevano dietro le roccie.

— Che è stato, giovinetto? domandò Gedeone Spilett.

— Un fumo, rispose Harbert, abbiamo visto un fumo elevarsi fra le roccie a cento passi da noi.

— Uomini in questo luogo? esclamò il reporter.

— Evitiamo di mostrarci prima di sapere con chi abbiamo da fare, rispose Cyrus Smith. Io temo gli indigeni, se pure ve n’ha in quest’isola, più che non li desideri. Dove è Top?

— Top è andato innanzi.