Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/129

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cuni dei quali dovevano fornire nella prossima primavera una manna zuccherina assolutamente analoga alla manna d’Oriente.

Gruppi di cedri australiani sorgevano pure nelle radure rivestiti di quell’alta erba che si chiama tussac nella Nuova Olanda; ma l’albero del cocco, così abbondante nell’arcipelago del Pacifico, sembrava mancare all’isola, la cui latitudine era senza dubbio troppo bassa.

Che disgrazia, un albero così utile e che ha di così belle noci!

Quanto agli uccelli pullulavano fra i rami alquanto magri degli eucalyptus e delle casuarine, che non imbarazzavano lo spiegamento delle loro ali, kakatoes neri, bianchi o grigi, parrocchetti e pappagalli dalle penne di tutti i colori, re di un verde splendido, coronati di rosso, eloris azzurri, bleues montains, parevano non lasciarsi vedere che attraverso un prisma e svolazzavano con un chiacchierio assordante. D’un tratto un bizzarro concerto di voci discordi eccheggiò nel più fitto del bosco. I coloni intesero successivamente il canto degli uccelli, il grido dei quadrupedi ed una specie di scoppiettío che avrebbero potuto credere uscito dalle labbra d’un indigeno. Nab ed Harbert s’erano slanciati verso quella macchia, dimenticando i principî elementari della prudenza. Per buona sorte non v’erano là nè belve formidabili, nè indigeni pericolosi, ma semplicemente una mezza dozzina di quegli uccelli beffatori e cantatori che vennero riconosciuti per fagiani di montagna. Alcuni colpi di bastone tirati con destrezza diedero fine alla scena d’imitazione, procurando insieme un’eccellente selvaggina pel desinare della sera.

Harbert segnalò pure magnifici piccioni dalle ali bronzate, gli uni sormontati da una cresta superba, gli altri dalle piume verdi come i loro congeneri di Port Macquarie, ma non fu possibile coglierli, come