Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/145

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coledì, erano passati dodici giorni dacchè il vento aveva gettati i naufraghi su quel litorale.

Il 6 aprile, fin dall’alba, l’ingegnere ed i suoi compagni erano riuniti sulla radura, là dove doveva farsi la cottura dei mattoni. Naturalmente, quest’operazione doveva compiersi all’aria aperta e non in forni, o meglio l’agglomerazione dei mattoni doveva formare un enorme forno che cuocerebbe sè stesso.

Il combustibile fatto di fascine fu disposto sul suolo e circondato di molte schiere di mattoni secchi, che formarono presto un grosso cubo, all’estremità del quale furono aperti degli sfiatatoj.

Quel lavoro duro tutta la giornata, e solo alla sera s’appiccò il fuoco alle fascine. In quella notte nessuno si coricò, ma si vegliò con cura acciò il fuoco non si spegnesse. L’operazione durò quarantotto ore, e riuscì benissimo. Bisognò allora lasciar raffreddare la massa ardente, ed intanto Nab e Pencroff, guidati da Cyrus Smith, caricarono sopra un graticcio, fatto di rami intrecciati, molti carichi di carbonato di calce, pietre comunissime che si trovavano abbondantemente al nord del lago. Queste pietre, decomposte dal calore, diedero una calce viva, molto grassa e pura come se fosse stata prodotta dalla calcinazione della creta o del marmo. Mescolata con sabbia, che ha per effetto di attenuare la contrazione della pasta quando si solidifica, questa calce fornisce un cemento eccellente.

Da tali differenti lavori risultò che, il 9 aprile, l’ingegnere aveva a sua disposizione una certa quantità di calce e qualche migliajo di mattoni.

S’incominciò adunque senza perdere un istante la costruzione d’un forno che doveva servire alla cottura di diversi vasellami indispensabili agli usi domestici, e vi si riuscì senza molta difficoltà. Cinque giorni dopo il forno fu caricato di quel carbone di cui l’ingegnere aveva scoperto uno strato verso la foce del rivo Rosso,