Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/147

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La sera del 15 aprile si tornò adunque definitivamente ai Camini. Il resto dei vasellami fu trasportato, ed il forno si spense aspettando nuova destinazione. Il ritorno fu segnalato da un lieto avvenimento, dalla scoperta che l’ingegnere fece di una sostanza adatta a sostituire l’esca. Si sa che quel tessuto spugnoso e vellutato proviene da un fungo del genere poliporo; e che, convenientemente preparato, è infiammabilissimo specialmente se sia stato prima saturato di polvere da cannone o bollito in una soluzione di nitrato o di clorato di potassa. Finora non s’era incontrato alcuno di quei polipori e nemmeno alcuna di quelle morille che possono farne le veci. In quel giorno l’ingegnere, avendo riconosciuto una pianta appartenente al genere artemisia, che conta fra le principali specie l’assenzio, la limonaria, ecc., ne strappò parecchie manate e le presentò al marinajo dicendogli:

— Ecco, Pencroff, questo vi farà piacere.

Pencroff guardò attentamente la pianta coperta di peli morbidi e lunghi le cui foglie erano rivestite d’una peluria.

— Che cosa è questo? Bontà del cielo! È forse tabacco?

— No, rispose Cyrus Smith, è l’artemisia, l’artemisia chinese degli scienziati, e per noi sarà l’esca.

In fatti, quell’artemisia convenientemente disseccata fornì una sostanza infiammabilissima, sopratutto quando più tardi l’ingegnere l’ebbe impregnata di quel nitrato di potassa di cui l’isola possedeva molti strati e che non è altro che il salnitro.

Quella sera tutti i coloni, riuniti nella camera centrale, cenarono convenientemente.

Nab aveva preparato un lesso di aguti e di cabiaj aromatizzati, ai quali si aggiunsero i tubercoli lessati del “caladium macrorhizum” della famiglia delle acacee e che sotto la zona tropicale avrebbe