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i naufraghi dell’aria | 11 |
lativamente considerevole, il movimento dovea essere importante e repentino. E così appunto accadde.
Ma dopo d’essersi per un istante equilibrato nelle zone inferiori, l’aerostato incominciò a ridiscendere.
Il gas sfuggiva dalla laceratura ch’era impossibile accomodare. I passeggieri aveano fatto tutto quanto stava in loro; oramai non era più in potere umano la salvezza, e dovevano solo contare sull’ajuto di Dio.
Alle quattro il pallone era ricaduto a cinquecento piedi dalla superficie delle acque.
Si udì un latrato sonoro. Un cane accompagnava i passeggieri e si teneva chiuso presso al suo padrone nei fili della rete.
— Top ha veduto qualche cosa! esclamò uno dei passeggieri.
E subito dopo una voce forte gridò:
— Terra, terra!
Il pallone, che il vento avea continuato a spingere verso il sud-ovest, avea dall’alba a questa parte percorso una distanza enorme, parecchie centinaja di miglia, ed una terra abbastanza elevata appariva infatti in quella direzione.
Ma quella terra si trovava ancora a sessanta miglia sottovento e non occorreva meno di una buona ora per giungervi, ed anche a patto di non sviarsi. Un’ora! E non avrebbe il pallone perduto prima tutto il fluido che gli rimaneva?
Questo era il terribile quesito; i passeggieri vedevano distintamente quel punto solido a cui bisognava giungere ad ogni costo. Ignoravano che fosse, se isola o continente, perchè è molto se sapevano verso qual parte del mondo l’uragano li avea trascinati! Ma fosse questa terra abitata o no, ospitale o no, bisognava giungervi.
Ora, alle quattro, era evidente che il pallone non poteva più reggere. Già la cresta delle enormi ondate avea più volte lambito la rete facendola più greve,