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12 capitolo i.

e l’aerostato si sollevava stentatamente a guisa d’un uccello che abbia l’ala infranta. Mezz’ora dopo la terra non era più che ad un miglio, ma il pallone era sfinito. Flacido, disteso, spiegazzato, non conservava più gas fuorchè nella parte superiore.

I passeggieri aggrappati alla rete pesavano troppo ancora, e presto, tuffati a mezzo il corpo nel mare, furono battuti dalle onde incollerite. L’invoglio dell’aerostato si ripiegò allora come una borsa, e la brezza inabissandovisi entro lo spinse a guisa d’una nave che cammini col vento in poppa. Forse a questo modo giungerebbe a terra!

Ma ne distava solo due gomene quando s’udirono terribili grida uscenti da quattro petti insieme, ed il pallone che pareva non doversi più risollevare fece un nuovo inaspettato balzo, dopo d’esser stato battuto da un formidabile colpo di mare. Come se fosse stato alleggerito d’un subito, risalì ad un’altezza di mille e cinquecento piedi, dove incontrò una specie di risucchio di vento che, invece di spingerlo direttamente a costa, gli fece seguire una direzione quasi parallela. Finalmente, due minuti dopo, ridiscendeva ancora e ricadeva sulla sabbia della spiaggia fuor di portata delle onde. I passeggieri ajutandosi vicendevolmente riuscirono a sbarazzarsi della rete, ed il pallone alleggerito del loro peso e ripigliato dal vento, a guisa d’un uccello ferito che ritrova un istante di vita, sparì nello spazio.

La navicella avea contenuto cinque passeggieri ed il pallone ne gettava sulla spiaggia quattro soltanto, più un cane.

Il passeggiero che mancava era stato evidentemente portato via dal colpo di mare che avea percosso la rete, e questo appunto avea permesso al pallone alleggerito di risalire per l’ultima volta e di toccar terra alcuni istanti dopo.

Non appena i quattro naufraghi — che si può dar