Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/175

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Da quel luogo fino all’estremo limite all’ovest più non formava che una specie di scarpa, fitta agglomerazione di pietre, di terra e di sabbia, tenute insieme da piante, da arbusti e da erbe, inclinata con an angolo di soli 45 gradi; qua e là si vedeva ancora il granito uscire con punte aguzze da quella specie di costa dirupata. Gruppi d’alberi si schieravano sulle sue falde tappezzate da un’erba folta; ma lo sforzo vegetativo non andava più oltre, ed un lungo piano di sabbia, che cominciava ai piedi della scarpa, si stendeva fino al litorale.

Cyrus Smith pensò, non senza ragione, che da quella parte si spandesse il soverchio del lago in forma di cascata. Infatti bisognava necessariamente che l’eccesso d’acqua fornito dal rivo Rosso si perdesse in un punto qualsiasi. Ora questo punto l’ingegnere non l’aveva ancora trovato in alcuna parte delle rive già esplorate, vale a dire dalla foce del ruscello all’ovest fino all’altipiano di Lunga Vista. L’ingegnere propose quindi ai compagni di arrampicarsi sulla costa, che allora osservavano, e ritornare ai Camini per le alture, esplorando le rive settentrionali ed orientali del lago.

La proposta fu accettata, ed in pochi minuti Harbert e Nab erano arrivati all’altipiano superiore. Cyrus Smith, Gedeone Spilett e Pencroff li seguirono a passo più lento.

A dugento piedi attraverso il fogliame il bel strato d’acqua splendeva ai raggi del sole. Bellissimo era il paesaggio in quel luogo. Gli alberi dalle tinte gialliccie si aggruppavano meravigliosamente formando la delizia dello sguardo. Alcuni vecchi fusti enormi, caduti per vecchiaja, si staccavano colla nera corteccia dal verdeggiante tappeto che copriva il suolo. Colà ciaramellava tutta una famiglia di pappagalli chiassosi, veri prismi che saltellavano da un ramo all’altro. Pareva che la luce non arrivasse più se non decomposta attraverso quel singolare fogliame.