Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/195

Da Wikisource.

stite di innumerevoli stalattiti. L’ingegnere osservò quel granito nero. Non vi vide uno strato, non una interruzione. La massa era compatta e di grano fittissimo; quel condotto datava adunque dall’origine medesima dell’isola; e non già le acque lo avevano scavato a poco a poco, ma piuttosto Plutone l’aveva forato colle proprie mani, poichè si potevano distinguere sulla muraglia le traccie d’un lavoro eruttivo che le acque non avevano potuto cancellare interamente.

I coloni discendevano a passi lenti e non senza provare una certa commozione nell’avventurarsi così tra le profondità di quel masso che creature umane visitavano evidentemente per la prima volta. Non parlavano, ma riflettevano, e dovette venire in mente a più d’uno che qualche polipo o qualche gigantesco cefalopedo poteva occupare le cavità inferiori che si trovavano in comunicazione col mare. Bisognava adunque avventurarsi con una certa prudenza. Del resto, Top andava in capo al piccolo drappello, e si poteva fidare nella sagacia del cane, il quale, all’occorrenza, non tralascerebbe di dar l’avviso.

Dopo d’essere disceso un centinajo di piedi seguendo una via tortuosa, Cyrus Smith, che andava innanzi, s’arrestò, ed i compagni lo raggiunsero. Il luogo in cui s’arrestarono era scavato in guisa da formare una grotta di mediocri dimensioni. Goccie d’acqua cadevano dalla sua vôlta, ma non provenivano da un trasudamento attraverso il granito. Erano semplicemente le ultime traccie lasciate dal torrente che aveva per un pezzo brontolato in quel cavo, e l’aria vi era pura, leggermente umida, senza alcuna emanazione mefitica.

— Ebbene, mio caro Cyrus, disse allora Gedeone Spilett, ecco un nascondiglio ben ignorato; ma dopo tutto non è abitabile.

— E perchè? domandò il marinajo.