Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/232

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nata; onde i coloni si rimisero in cammino, ed arrivarono al limite in cui cominciava la regione pantanosa.

Era proprio un marese, la cui estensione, fino alla costa arrotondata che terminava l’isola al sud-est, poteva misurare venti miglia quadrate.

Il suolo era formato d’un limo argillo-siliceo misto a molti frantumi vegetali. Lo coprivano giunchi, con ferre, scirpi, qua e là alcuni strati d’erbe fitti come grosse mocchette. Ai raggi del sole scintillavano parecchie pozze agghiacciate. Nè le pioggie, nè alcun fiume gonfiato da subitanea piena avevano potuto formare quelle provviste d’acqua. Si doveva naturalmente argomentare che quel pantano fosse alimentato da infiltrazioni del suolo, e così era infatti. Era anche da temere che durante i calori l’aria si caricasse di quei miasmi che generano le febbri delle paludi.

Sopra le erbe acquatiche, alla superficie delle acque stagnanti, volteggiava un mondo d’uccelli. Cacciatori di palude non vi avrebbero perduto una schioppettata. Anitre selvatiche, querquedule, beccaccini vivevano colà a frotte, e codesti volatili poco timorosi si lasciavano facilmente accostare. Un colpo a pallini avrebbe certamente atterrato qualche dozzina d’uccelli, tanto le loro schiere erano serrate. Bisognò accontentarsi di dar loro la caccia a colpi di freccia, con meschino risultato, ma col vataggio che la freccia silenziosa non atterriva i volatili e non lì disperdeva, come avrebbe fatto lo sparo d’un’arme da fuoco. I cacciatori s’accontentarono adunque, per questa volta, d’una dozzina di anitre bianche nel collo, con cintura color cannella, colla testa verde e le ali nere, bianche e rosse, col becco schiacciato. Harbert riconobbe in esse la specie detta anitra tadorna. Top concorse alla cattura dei volatili, il cui nome fu dato a questa parte pantanosa dell’isola. I coloni avevano