Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/25

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di Forster dovette essere differita, essendo impossibile arrischiare l’aerostato ed i viaggiatori fra gli elementi scatenati. Il pallone gonfiato sulla gran piazza di Richmond era dunque là, pronto a partire al primo calmarsi del vento, e nella città grande era l’inquietudine in vedere che lo stato dell’atmosfera non si modificava.

Il 18 e il 19 marzo passarono, nè alcun mutamento avvenne. Si provavano anzi grandi difficoltà per difendere il pallone trattenuto al suolo e che le raffiche piegavano fino a terra.

Passò la notte dal 19 al 20, ma al mattino l’uragano soffiava ancora più impetuoso. La partenza era impossibile. In quel giorno l’ingegnere Cyrus Smith fu avvicinato, in una via di Richmond, da un uomo che non conosceva. Era un marinajo chiamato Pencroff, che mostrava da trentacinque a quarant’anni, robusto, abbronzato molto, cogli occhi vivaci ed ammiccanti, ma con faccia da galantuomo; codesto Pencroff era un americano del nord che aveva corso tutti i mari del globo, ed al quale in fatto d’avventure era accaduto tutto quanto può accadere di straordinario ad un bipede implume. È inutile dire che costui avea natura intraprendente, ch’era disposto ad osar qualsiasi cosa e che non poteva meravigliarsi di nulla. Pencroff, al principio di quell’anno, s’era recato per certe sue faccende a Richmond con un giovinetto di quindici anni, Harbert Brown, della nuova Jersey, figlio del suo capitano, un orfanello ch’egli amava come se fosse stato la sua propria creatura. Non avendo potuto lasciare la città prima delle operazioni dell’assedio, si trovava bloccato con suo gran dispiacere e non avea anch’egli che un’idea: fuggirsene con qualsiasi mezzo. Conosceva per fama l’ingegnere Cyrus Smith, sapeva con quanta impazienza quest’uomo determinato rodesse il suo freno, ed in quel giorno non esitò a venirgli innanzi dicendogli senza preamboli