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zampe nè la testa. Se ne stava immobile come un macigno.
Harbert e Nab cacciarono allora i bastoni sotto le ascelle dell’animale e riuscirono, non senza stento, a capovolgerlo. Quella tartaruga, che era lunga tre piedi, doveva pesare almeno quattrocento libbre.
— Buono! sclamò Nab, questo farà stare allegramente Pencroff.
In fatti l’amico Pencroff non poteva tralasciar di rallegrarsi, perchè la carne di coteste tartarughe, che si nutrono di zosteri, è squisitissima. In quel momento l’animale non lasciava scorgere che la testa piccina, schiacciata, ma allargata posteriormente da gran fosse temporali nascoste sotto una vôlta ossea.
— Ed ora, che fare della nostra selvaggina? disse Nab. Non possiamo già trasportarla al Palazzo di Granito.
— Lasciamola qui, poichè non può voltarsi, disse Harbert. Torneremo a ripigliarla col carro.
— Sta bene.
Peraltro, per maggior precauzione, Harbert prese la cura, giudicata superflua da Nab, d’assicurare l’animale con grossi ciottoli; dopo di che i due cacciatori se ne tornarono al Palazzo di Granito seguendo il greto che la marea, allora bassa, scopriva largamente. Harbert, volendo fare una sorpresa a Pencroff, non gli disse nulla del superbo crostaceo che aveva capovolto, ma due ore dopo egli e Nab erano di ritorno col carro nel luogo dove l’avevano lasciato; il superbo campione dei chelidri non v’era più.
Nab e Harbert si guardarono dapprima in volto, poi guardarono tutt’intorno. Pur era proprio in quel luogo che avevano lasciata la tartaruga. Il giovane ritrovò perfino i ciottoli di cui s’era servito, onde era sicuro di non errare.
— Ah! disse Nab, si capovolgono dunque da sè codesti animali?