Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/28

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dal canto suo colle mani in tasca, sbadigliando all’occorrenza, a guisa d’uomo che non sa come ammazzare il tempo, ma timoroso anch’esso che il pallone si distaccasse e se ne andasse per aria.

La notte si fece oscurissima; fitte brume rasentavano il suolo a guisa di nugoli; cadeva pioggia mista a neve; il tempo era freddo ed una specie di nebbione pesava sopra Richmond; pareva che la violenza dell’uragano avesse posto come una tregua fra assedianti ed assediati e che il cannone tacesse innanzi alle formidabili detonazioni della tempesta. Le vie della città erano deserte. Non era nemmeno parso necessario, con quel tempo orribile, di porre delle guardie nella piazza in mezzo della quale si dibatteva l’aerostato. Ogni cosa favoriva la partenza dei prigionieri; pur l’idea di quel viaggio fra le raffiche scatenate!...

— Villana marea! diceva Pencroff fissandosi in testa con un pugno il cappello che il vento minacciava di togliergli. Ma tanto tanto la spunteremo!

Alle nove e mezzo Cyrus Smith ed i suoi compagni giungevano da parti diverse alla piazza, cui le lanterne spente dal vento lasciavano in una profonda oscurità. Non si vedeva nemmeno l’enorme aerostato, quasi interamente curvato al suolo. Oltre i sacchi di zavorra che trattenevano le corde della rete, la navicella era tenuta da una forte gomena assicurata ad un anello.

I cinque prigionieri s’incontrarono presso la navicella; non erano stati visti, ma tanta era l’oscurità che non dovevano vedersi essi medesimi. Senza proferir parola, Cyrus Smith, Gedeone Spillet, Nab ed Harbert presero posto nella navicella, intanto che Pencroff, sotto l’ordine dell’ingegnere, staccava successivamente i pacchi di zavorra. Fu la cosa di pochi istanti, ed il marinajo raggiunse i suoi compagni.

L’aerostato non era più trattenuto che dal nodo