Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/298

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Cascata dal promontorio del Rettile era di circa dodici miglia. In quattr’ore, sopra un greto praticabile, e senza affrettarsi, i coloni avrebbero potuto percorrere quella distanza; ma dovettero spendere il doppio di questo tempo, perchè gli alberi di cui si doveva fare il giro, i cespugli che bisognava tagliare e le liane da recidere, li trattenevano di continuo, allungando con moltiplicate giravolte la strada.

Del rimanente, non vi era nulla che testimoniasse un recente naufragio in quel litorale. Vero è, come fece osservare Gedeone Spilett, che il mare avea potuto trascinare ogni cosa al largo e che non bisognava argomentare, dal non trovarvi più alcuna traccia, che una nave non fosse stata battuta a costa in quella parte dell’isola.

Il ragionamento del reporter era giusto, senza dire che l’incidente del grano di piombo provava in maniera incontrastabile che da tre mesi al più era stata sparata una schioppettata nell’isola.

Erano già le cinque, e l’estremità della penisola Serpentina si trovava ancora a due miglia dal luogo in cui erano i coloni. Diveniva evidente che, giunti al promontorio del Rettile, Cyrus Smith ed i suoi compagni non avrebbero più il tempo di ritornare prima del cadere del sole all’attendamento stabilito presso le sorgenti della Grazia. Da ciò, necessità di passare la notte nel promontorio medesimo. Non mancavano le provviste, e fu fortuna, perchè non si vedeva più alcuna selvaggina da pelo. Al contrario, gli uccelli vi formicolavano: jacamar, curucù, tragopan, tetraoni, lori, parrocchetti, pappagalli, fagiani, colombi e cento altri. Non un albero che non avesse un nido, non un nido che non fosse pieno di battiti d’ali.

Verso le sette pomeridiane, i coloni, sfiniti dalla stanchezza, arrivarono sul promontorio del Rettile, specie di voluta bizzarramente frastagliata sul mare.