Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/299

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Qui finiva la foresta rivierasca della penisola, ed il litorale, in tutta la parte sud, ripigliava l’aspetto consueto di una costa, colle sue roccie, le sue scogliere ed i suoi greti. Era dunque possibile che una nave disalberata si fosse arenata su quella parte dell’isola; ma veniva la notte, e bisognava differire l’esplorazione al domani.

Pencroft ed Harbert s’affrettarono subito a cercare un luogo acconcio a stabilirvi un accampamento; gli ultimi alberi del Far-West venivano a morire in quella parte, e fra essi il giovinetto riconobbe fitti gruppi di bambù.

— Buono! diss’egli; ecco una scoperta preziosa.

— Preziosa? domandò Pencroff.

— Senza dubbio, rispose Harbert. Non ti dirò già, Pencroff, che la corteccia del bambù, tagliata in striscie flessibili, serve a far panieri e cestelli; che questa corteccia, ridotta in pasta e macerata, serve a fabbricare la carta della China; che i rami forniscono, secondo la loro grossezza, bastoni, cannette da pipa, canali per le acque; che i gran bambù formano eccellente materiale da costruzione leggiero e robusto e non mai attaccato dagli insetti; non aggiungerò nemmeno che segando i nodi dei bambù e conservando per fondo una porzione di tramezzo trasversale che forma il nodo, si ottengono vasi solidi e comodi che sono in grande uso presso i Chinesi! No! tutto codesto non ti accontenterebbe; ma....

— Ma?....

— Ma ti apprenderò, se lo ignori, che nell’India si mangiano questi bambù come asparagi.

— Asparagi di trenta piedi! esclamò il marinajo; e sono saporiti?

— Eccellenti, rispose Harbert; solo non sono i rami di trenta piedi che si mangiano, ma i germogli teneri.

— Benissimo, fanciullo mio, benissimo! rispose Pencroff.