Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/306

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per la prima volta e che percorsero con un’occhiata dopo di essersi arrestati un istante.

— Una nave, disse allora Pencroff, sarebbe qui inevitabilmente perduta; banchi di sabbia che si prolungano fino in alto mare; più oltre le scogliere: cattivi paraggi!

— Ma almeno resterebbe qualche cosa di questa nave, fece osservare il reporter.

— Resterebbero pezzi di legno sugli scogli e nulla sulla sabbia, rispose il marinajo.

— Perchè?

— Perchè codeste sabbie, più pericolose delle roccie, inghiottono tutto quanto vi si getta e bastano pochi giorni perchè lo scafo d’ana nave di molte centinaja di tonnellate vi scompaja interamente.

— Dunque, Pencroff, domandò l’ingegnere, se una nave si fosse perduta in questi banchi non vi sarebbe da stupirsi che non se ne vedesse più alcuna traccia?

— No, signor Smith, coll’ajuto del tempo o delle tempeste. Pure sarebbe cosa da maravigliare anche nel caso che non venissero gettate alla spiaggia, fuor di portata del mare, reliquie di alberatura.

— Continuiamo adunque le ricerche, rispose Cyrus Smith.

Alla una dopo mezzodì i coloni erano giunti in fondo della baja Washington, ed in quel momento avevano percorso una distanza di venti miglia.

Si fece una fermata per far colazione. Colà cominciava una costa irregolare, bizzarramente frastagliata e coperta da una lunga linea di quegli scogli che si succedevano ai banchi di sabbia e che la marea, ferma in quel momento, non doveva tardare a porre allo scoperto. Si vedevano le morbide ondulazioni del mare, rotte alle vette degli scogli, svolgersi in lunghe frangie schiumose. Da quel punto fino al capo Artiglio il greto era poco spazioso, stretto fra l’orlo delle scogliere e quello della foresta.