Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/308

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Gedeone Spilett propose ai compagni di fermarsi in quel luogo; si accettò, perchè la camminata aveva aguzzato l’appetito di ciascuno, e sebbene non fosse l’ora del desinare, nessuno si rifiutò di riconfortarsi con un pezzo di selvaggina. Codesto lunch dovea permettere di aspettare l’ora del pasto al Palazzo di Granito. Alcuni minuti dopo i coloni, seduti a piedi d’un magnifico gruppo di pini marittimi, divoravano le provvigioni che Nab avea tolto dalla sua sacca. Il luogo era alto dai cinquanta ai sessanta piedi sul livello del mare. Il raggio visuale era dunque abbastanza esteso, e passando sopra le ultime roccie del capo, andava a perdersi fin nella baja dell’Unione. Ma nè l’isolotto, nè l’altipiano di Lunga Vista non eran visibili e non potevano esserlo allora, poichè il rilievo del suolo e la cortina dei grandi alberi mascheravano l’orizzonte del nord.

È inutile aggiungere che, malgrado la distesa di mare che gli esploratori potevano abbracciare, e benchè il cannocchiale dell’ingegnere avesse percorso ogni punto di quella linea circolare in cui si confondono cielo ed acqua, non si vide alcuna nave. Del pari il cannocchiale esplorò tutto il litorale, dal greto fino alle scogliere, nè apparve nel campo dello strumento alcun rottame.

— Andiamo, disse Gedeone Spilett, bisogna prendere un partito e consolarci pensando che nessuno verrà a contenderci il possesso dell’isola Lincoln.

— Ma insomma quel grano di piombo, disse Harbert, non è già immaginario, suppongo?

— Per mille diavoli, no! esclamò Pencroff pensando al molare che gli era costato.

— Dunque, che cosa argomentate? domandò il reporter.

— Questo, rispose l’ingegnere, che tre mesi sono al più una nave, volontariamente o no, ha approdato.

— Come! ammettereste, Cyrus, che siasi som-