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mersa senza lasciare alcuna traccia? domandò il reporter.
— No, no, caro Spilett, ma osservate che se è certo che una creatura umana ha posto il piede su quest’isola, non è meno certo che oramai l’ha lasciata.
— Dunque, signor Cyrus, disse Harbert, la nave sarebbe ripartita?
— Evidentemente.
— E noi avremo perduto senza rimedio un’occasione di rimpatriare? disse Nab.
— Senza rimedio, lo temo.
— Ebbene, poichè l’occasione è perduta, in cammino! disse Pencroff, il quale si sentiva prendere dalla nostalgia trovandosi assente dal Palazzo di Granito.
Ma si era appena levato in piedi, quando i latrati di Top echeggiarono forte, ed il cane uscì dal bosco tenendo in bocca un lembo di stoffa sporco di fango.
— Era un pezzo di tela robusto, e Nab lo strappò dalle zanne del cane.
Top latrava sempre e co’ suoi andirivieni sembrava invitare il padrone a seguirlo nella foresta.
— Vi è colà qualche cosa che potrebbe spiegare il mio grano di piombo! esclamò Pencroff.
— Un naufrago! rispose Harbert.
— Ferito forse! disse Nab.
— O morto! aggiunse il reporter.
E tutti si precipitarono dietro al cane fra quei gran pini che formavano la prima cortina della fo resta. Cyrus Smith ed i compagni avevano per ogni occorrenza preparato le armi.
Dovettero addentrarsi di molto nel bosco, ma con loro gran rammarico non videro alcuna impronta di passi. I cespugli e le liane erano intatti, e bisogno anzi reciderli coll’accetta come si aveva fatto nel fitto della foresta. Era adunque difficile immaginare che una creatura umana fosse già passata di là: eppure Top andava e veniva non già alla guisa d’un