Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/313

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La notte era oscurissima, Pencroff cominciò dal fare una specie di zattera che permettesse di passare la Grazia; Nab ed egli, armati d’accetta, scelsero due alberi vicini alla ripa ed incominciarono a tempestarli di colpi alla base. Cyrus Smith e Gedeone Spilett, seduti sull’argine, aspettavano che fosse venuto il momento di venire in ajuto ai compagni, intanto che Harbert andava e veniva senza allontanarsi molto.

D’un tratto il giovinetto, che avea risalito il rivo, tornò frettoloso, e mostrando la Grazia a monte, esclamò:

— Che cosa è quell’arnese che va alla deriva?

Pencroff interruppe il suo lavoro e vide un oggetto mobile che appariva confusamente nell’ombra.

— Un canotto! esclamò egli.

Tutti s’accostarono, e videro con somma maraviglia una scialuppa che seguiva il corso dell’acqua.

— Oh, del canotto! gridò il marinajo, per un resto di abitudine di professione, non pensando che meglio forse sarebbe stato serbare il silenzio.

Nessuno rispose. La barca andava sempre alla de riva ed era solo ad una decina di passi, quando il marinajo esclamò:

— Ma è la nostra piroga! ha rotto l’ormeggio ed ha seguito la corrente; bisogna confessare che viene a proposito.

— La nostra piroga?... mormorò l’ingegnere.

Pencroff aveva ragione; era proprio il canotto il cui ormeggio si era spezzato senza dubbio e che se ne tornava dalle sorgenti della Grazia. Importava adunque afferrarlo al passaggio prima che fosse trasportato dalla rapida corrente al di là della sua foce, ed è quanto Nab e Pencroff fecero assai bene con una lunga pertica.

Il canotto s’accostò alla spiaggia; l’ingegnere, imbarcandovisi per il primo, ne prese l’ormeggio e si assicurò che era stato veramente logorato dallo strofinío sugli scogli.