Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/348

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sempre quella dei gran boschi, abitata dalle belve, di cui Gedeone Spilett contava di purgare il suo dominio.

Prima che cominciasse la fredda stagione, furono date le più assidue cure alle piante selvatiche che erano state trapiantate dalla foresta nell’altipiano di Lunga Vista. Harbert non tornava mai da un’escursione senza portare qualche vegetale utile. Una volta erano campioni della tribù delle cicorie, il cui seme poteva fornire, colla torchiatura, un olio eccellente; altra volta era un’acetosa comune, le cui proprietà antiscorbutiche non bisognava sdegnare; poi alcuni di quei preziosi tubercoli che sono stati coltivati in ogni tempo nell’America meridionale, quelle patate di cui oggi si contano più di dugento specie. L’orticello, oramai ben tenuto, ben inaffiato e difeso dagli uccelli, era diviso in piccoli quadrati in cui crescevano lattughe, acetose, rape, ravanelli, patate e varie altre crocifere.

La terra, in quell’altipiano, era d’una fecondità prodigiosa, e si poteva sperare un abbondante raccolto. Non mancavano neppure le bevande variate, ed a patto di non esigere del vino, i più schizzinosi non dovevano lamentarsi. Al thè di Oswego, fornito dalle monarde didime, ed al liquore fermentato, estratto dalle radici del dragone, Cyrus Smith aveva aggiunto una vera birra fabbricata coi germogli tenerelli dell’abete nero, germogli che dopo d’aver bollito e fermentato fornirono quella bevanda piacevole ed igienica che gli Anglo-Americani chiamano Spring-beer, vale a dire birra d’abete.

Verso la fine d’estate, il cortile rustico possedeva una bella copia d’ottarde appartenenti alla specie houbara, caratterizzata da una specie di mantiglia di penne, una dozzina d’anitrelle di una specie chiamata souchet, la cui mandibola superiore si prolunga da ogni parte in appendice membranosa, e magnifici