Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/35

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— Non monta, disse Pencroff, se non vedo la costa, la sento.... essa è là.... là..., come è vero che non siamo più a Richmond!

Ma il nebbione non dovea tardare a diradarsi. Era solo una bruma di bel tempo, un buon sole ne scaldava gli strati superiori, e codesto calore giungeva persino alla superficie dell’isolotto. Infatti, verso le sei ore e mezzo, tre quarti d’ora dopo il levar del sole, la nebbia diveniva più trasparente; si addensava in alto, ma si diradava abbasso; presto apparve l’isolotto intero come sceso da una nuvola; poi si mostrò il mare seguendo un piano circolare, infinito all’est, ma limitato all’ovest da una costa alta e scoscesa.

Sì, la terra era là. Colà la salvezza, temporaneamente almeno. Fra l’isolotto e la costa passava rumoreggiando una rapida corrente, e formava un passaggio difficile se non impossibile per un nuotatore che non fosse stato della forza di Poe e di Byron.

Ma uno dei naufraghi, non consultando che il suo cuore, precipitò subito nella corrente, senza chiedere consiglio ai compagni, senza nemmeno dir parola. Era Nab, il quale non vedeva l’ora di essere su quella costa, di risalirla al nord. Nessuno avrebbe potuto trattenerlo. Pencroff lo chiamò, ma invano, ed il reporter si disponeva a seguire il nuotatore, quando Pencroff, movendogli incontro, gli domandò:

— Sapete voi nuotare?

— Sì, rispose Gedeone Spilett.

— Ebbene, aspettate; credete a me, disse il marinajo, basta che Nab sia passato e possa portar soccorso al suo padrone. Bisogna essere molto forti per attraversare questo canale, e noi arrischieremmo d’essere trascinati al largo dalla corrente, che davvero è terribile. Se non m’inganno, è una corrente di riflusso. Osservate, la marea discende sulla sabbia: un po’ di pazienza; quando sarà basso il mare, può darsi che troveremo un passaggio guadabile.