Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/359

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si fosse all’improvviso presentata in vista dell’isola, i coloni le avrebbero fatto dei segnali, e sarebbero partiti. Frattanto però viveano di quella felice esistenza, ed erano meno paurosi che desiderosi d’un avvenimento qualsiasi che venisse ad interromperla.

Ma chi potrebbe mai lusingarsi d’aver formato la fortuna ed essere al sicuro dei suoi voltafaccia?

Checchè ne sia, codest’isola Lincoln, che i coloni abitavano già più d’un anno, era sovente argomento della loro conversazione, e un giorno fu fatta una osservazione che doveva più tardi produrre gravi conseguenze.

Era il primo aprile, una domenica, il giorno di Pasqua, che Cyrus Smith ed i compagni avevano santificato col riposo e colla preghiera. La giornata era stata bella, quale potrebbe essere una giornata di ottobre nell’emisfero boreale. Tutti, verso sera, dopo desinare, erano riuniti sotto la veranda, sul lembo dell’altipiano di Lunga Vista, e guardavano salir la notte sull’orizzonte. Alcune chicchere di quella infusione di grani di sambuco, che faceva le veci del caffè, erano state servite da Nab. Si parlava dell’isola e della sua situazione solitaria nel Pacifico, quando Gedeone Spilett fu tratto a dire:

— Mio caro Cyrus, dacchè possedete il sestante trovato nella cassa, avete rilevato di nuovo la posizione della nostra isola?

— No.

— Ma sarebbe forse opportuno farlo con uno strumento più perfetto di quello che avete adoperato.

— A qual pro? disse Pencroff; l’isola sta bene dov’è.

— Senza dubbio, soggiunse Gedeone Spilett, ma accadde talvolta che l’imperfezione degli istrumenti ha nociuto alla giustezza delle osservazioni, e posto che è facile accertarne l’esattezza....

— Avete ragione, caro Spilett, aggiunse l’ingegnere,