Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/37

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nerastre che in quel momento sparivano a poco a poco sotto la marea crescente. Al secondo piano si staccava una specie di cortina granitica tagliata a picco, terminata da una capricciosa cresta all’altezza di trecento piedi almeno. Essa si profilava così per ben tre miglia e terminava bruscamente a diritta con uno smusso che si sarebbe creduto tagliato dalla mano dell’uomo.

A mancina, invece, sopra il promontorio, quella specie di costa irregolare, staccantesi a massi prismatici, fatta di roccie agglomerate e di frane, s’abbassava in un luogo piano, inclinato, e si confondeva a poco a poco colle roccie della punta meridionale. Sulla spianata superiore della costa non un albero. Era un piano liscio come quello che domina Capo Twon, al Capo di Buona Speranza, ma in più piccole proporzioni; almeno tale appariva allo sguardo. Peraltro non mancava la verdura; a diritta, dietro lo smusso, si distingueva facilmente la massa confusa dei grand’alberi la cui agglomerazione si prolungava oltre i confini dello sguardo. Questa verdura rallegrava l’occhio attristato dalle aspre linee della facciata di granito. Infine, nello sfondo, e sopra ogni cosa a sette miglia almeno nel nord-ovest, splendeva una bianca vetta percossa dai raggi del sole. Era un cappello di nevi perpetue che copriva qualche lontano monte.

Non si poteva dunque determinare se quella terra formasse un’isola o se appartenesse ad un continente; ma il vedere le roccie sconvolte che s’ammucchiavano a mancina, un geologo non avrebbe esitato a dar loro un’origine vulcanica, poichè esse erano incontestabilmente prodotte da un lavoro plutonico.

Gedeone Spilett, Pencroff ed Harbert osservavano attentamente quella terra sulla quale doveano forse vivere lunghi anni ed anche morire se non si trovavano sulla via delle navi.

— Ebbene, domandò Harbert, che ne dici, Pencroff?