Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/52

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conservato meglio il suo taccuino che la scatola dei zolfanelli.

Harbert non rispose; la perdita della scatola era evidentemente un fatto spiacevole. Pure il giovinetto faceva conto che si potesse procurare fuoco in una maniera o nell’altra. Pencroff, più esperimentato, e sebbene non fosse uomo da imbarazzarsi per poco, nè per molto, non pensava allo stesso modo. In ogni caso non rimaneva che un partito da prendere: aspettare il ritorno di Nab e del reporter. Ma bisognava rinunziare al pasto di uova sode che egli voleva preparar loro, e la dieta di carne cruda non gli pareva, nè per sè nè per i suoi compagni, prospettiva piacevole.

Prima di ritornare ai Camini, il marinajo ed Harbert, per il caso che il fuoco venisse loro a mancare definitivamente, fecero una nuova raccolta di litodomi e ripresero in silenzio la via della loro dimora.

Pencroff, cogli occhi fissi a terra, cercava sempre la sua scatola irreperibile. Egli risalì perfino la riva sinistra della riviera dalla foce fino all’angolo in cui la zattera di legno era stata ormeggiata. Tornò sulla spianata superiore, la percorse in tutti i versi, cercò nelle alte erbe sul lembo della foresta: tutto invano. Erano le cinque pomeridiane quando Harbert ed egli rientrarono nei Camini. E inutile dire che i corridoj furono frugati nei cantucci più buj e che bisognò rinunziarvi assolutamente.

Verso le sei, al momento in cui il sole spariva dietro le alte terre dell’ovest, Harbert, che andava e veniva sulla spiaggia, segnalò il ritorno di Nab e di Gedeone Spilett. Tornavano soli!

Il giovinetto provò un inesprimibile stringimento di cuore. Il marinajo non s’era ingannato nei suoi presentimenti: l’ingegnere Cyrus Smith non si era potuto trovare.

Il reporter, appena giunto, sedette sopra un ma-