Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/60

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centinaja di passi; fino a tanto che le ondate avessero respinto il corpo dell’ingegnere, fino a tanto che egli non avesse visto coi proprî occhi, toccato colle proprie mani il cadavere del suo padrone, non crederebbe fosse morto. Quest’idea si radicò sempre più nel suo cuore ostinato. Era forse illusione, ma illusione rispettabile, e Pencroff non volle distruggerla. Quanto a lui non vedeva più speranza: era certo che l’ingegnere fosse perito annegato, ma con Nab non era luogo a discutere. Fedele come un cane che non può lasciare il luogo in cui è caduto il padrone, costui dimostrava tanto dolore da far credere che non sopravviverebbe.

In quel mattino, 26 marzo, all’alba, Nab aveva ripreso sulla costa la direzione del nord ed era tornato là ove il mare s’era, senza dubbio, chiuso sul capo dello sventurato Smith.

La colazione di quel giorno si compose unicamente di uova di colombo e di litodomi. Harbert aveva trovato del sale deposto nel cavo delle roccie dalla evaporazione, e questa sostanza minerale venne molto opportuna. Terminato il pasto, Pencroff domandò al reporter se volesse accompagnarlo nella foresta, dove Harbert ed egli andrebbero a caccia. Ma pensandoci bene, era necessario che qualcuno rimanesse per mantenere acceso il fuoco e per il caso improbabilissimo che Nab avesse bisogno di ajuto. Onde il reporter rimase.

— A caccia, Harbert, disse il marinajo; troveremo munizioni per via e taglieremo il nostro fucile nella foresta.

Ma, al momento di partire, Harbert fece osservare che, poichè mancava l’esca, sarebbe forse prudente sostituirla con altra sostanza.

— Quale? domandò Pencroff.

— Tela abbruciata, rispose il giovinetto; essa può, al bisogno, servir d’esca.