Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/62

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apertura dovevano mettere nella riviera. Talvolta, s’incontrava pure un rigagnolo che attraversavano a stento. L’opposta riva sembrava più accidentata, e la vallata, di cui la riviera occupava il thalweg, vi si disegnava più nettamente. La collina coperta d’alberi disposti a piani formava una cortina che mascherava lo sguardo. Su quella riva destra sarebbe stato difficile camminare, poichè i declivi s’avvallavano bruscamente e gli alberi curvati sull’acqua si mantenevano solo per la robustezza delle radici.

È inutile aggiungere che la foresta, al par della costa già percorsa, era vergine d’ogni umana impronta. Pencroff vi notò solo traccie di quadrupedi, fresche pedate di animali di cui non poteva riconoscere la specie. Certamente — e tale pure fu l’opinione di Harbert — alcune pedate appartenevano a formidabili belve colle quali si avrebbe senza dubbio a fare, ma in nessuna parte le traccie di un’accetta sul tronco d’un albero, nè reliquie di fuoco spento, nè impronta di un passo: del che era forse a rallegrarsi, poichè su quella terra, nel mezzo del Pacifico, la presenza dell’uomo sarebbe stata più a temere che a desiderare.

Harbert e Pencroff, non scambiando quasi parola, poichè le difficoltà della via erano grandi, s’avanzavano lentamente, così che, dopo un’ora di cammino, avevano appena percorso un miglio. Fino allora la caccia non aveva dato frutto; pure alcuni uccelli cantavano e svolazzavano sotto gli alberi, come se l’uomo inspirasse loro istintivamente timore. Fra gli altri volatili Harbert segnalò in una parte acquitrinosa un uccello dal becco aguzzo ed allungato che rassomigliava anatomicamente al martin-pescatore, ma dal quale differiva per le ruvide penne a riflessi metallici.

— Debb’essere un jacamar, disse Harbert cercando di accostarsi all’animale.