Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/70

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Gedeone Spilett approvò l’opinione del marinajo per questo rispetto, che non bisognava dividersi: Harbert dovette rinunciare al proprio disegno, ma due grosse lagrime gli caddero dal ciglio. Il reporter non potè trattenersi dall’abbracciare il generoso fanciullo. Il cattivo tempo si era assolutamente manifestato; soffiava sulla costa un vento di sud-est con una violenza senza l’eguale, e s’intendeva il mare, che allora si abbassava, muggire contro la prima linea di scogliere al largo del litorale. La pioggia, ridotta dall’uragano ad un polverio, si levava come una bruma liquida: parevano cenci di vapori che si trascinassero sulla costa, i cui ciottoli rombavano violentemente col rumore di carrette di sassi che si vuotassero. La sabbia sollevata dal vento si mesceva alla pioggia e ne rendeva l’impeto irresistibile. Vi era nell’aria tanta polvere minerale quanta ve n’era di acqua. Fra la foce del fiume e la falda della muraglia turbinavano ampi gorghi, e gli strati d’aria che sfuggivano da quel maëlstrom, non trovando al tra uscita fuorchè la stretta valle in fondo a cui si sollevava il corso d’acqua, vi si inabissavano con irresistibile violenza. Il fumo del focolare, respinto per lo stretto condotto, empiva i corridoj e li rendeva inabitabili.

Perciò non appena i tetras furono cotti, Pencroff lasciò spegnere il fuoco e non conservò se non alcune brage sotto la cenere.

Alle otto Nab non era ancora riapparso; ma si poteva ammettere oramai che solo quell’orribile tempo lo avesse trattenuto e che egli avesse dovuto cercare rifugio in qualche cavo per aspettare la fine della tormenta od almeno il ritorno dell’alba. Quanto ad andargli incontro, ed a tentare di ritrovarlo in tale condizione, gli era impossibile.

La selvaggina formò l’unico piatto della cena.

Si mangiò volentieri di quella carne squisita. Pen-